Poi, a conti fatti, a relazione
finita, quando si torna individui, chi ne soffrirà di più non sarà il più
ingenuo, come accade normalmente per le bugie subite, ma colui al quale resterà
meno tempo e possibilità per porvi rimedio. Di qualsiasi bel sogno si sia
trattato.
quando le cose si svestono della materialità e diventano echi delle nostre emozioni, ricordi e passioni
Le Belle Balle
#lockdown #vaccini - C’era un ragazzo che come me amava i Beatles e i Rolling Stone, ma poi finì in Lockdown
Come non è detto che faccia bene al benessere dell’intero organismo questa reiterazione sine die. Prendiamo, ad esempio, gli antibiotici. Li assumiamo, in determinate circostanze precise, per curare quel popolo di cellule che coabitano in quel paese che è il nostro
corpo umano. E’ consigliato assumerli in quei casi precisi e solo in quelli. Si parte, cioè, dal
presupposto che non vadano assunti per ragioni diverse né per periodi troppo lunghi.
Pena, il rischio di nuocere gravemente al bebessere di quella straordinaria
società di cellule che è il corpo umano.
Noi esseri umani, in democrazia, già facciamo più fatica a
identificarci come un corpo unico e a preservare tale legame, di necessità più sociale che naturale. A maggior ragione, il fatto di reiterare indefinitamente, seppur
mediante nuovi atti pensati ad hoc per situazioni di necessità e urgenza, uno stato
di eccezionale riduzione delle libertà personali, tende facilmente a divenire ingiustificabile.
Diversa è una situazione di necessità e urgenza.
Altra è una situazione seria e prolungata che richieda atti necessari a gestirla. Altra
ancora una situazione sanitaria non più seria (pensando al futuro, appunto) che
richiederà atti regolatori dei comportamenti sociali (continuare a indossare le
mascherine quando saremo tutti vaccinati, ad esempio e che durerà, pare, per altri anni ancora).
Durante questo primo anno l’emergenza
Covid è stata tremendamente impattante in termini di rischio per le nostre vite (e continua ad esserlo).
Ma da qui a sei mesi, probabilmente, grazie alle robuste compagne vaccinali non risulterà più così tremendamente
impattante. Intendo non tanto da minacciare in modo così aperto e chiaro le vite da
non lasciare dubbio alcuno sul modo di operare (ad esempio penso all'adozione della misura del coprifuco durante una guerra). Allora mi chiedo: per quanto ancora e fino a che attenuazione del rischio la restrizione
delle libertà personali potrà continuare a considerarsi legittima in democrazia?
Perché me lo chiedo ora se ancora siamo
in piena emergenza?
Provo a spiegarlo. Secondo le mie reminiscenze
di diritto il termine è un elemento essenziale del contratto e la sua mancanza
lo rende nullo. Inoltre, ricordo che la reiterazione sine die di un contratto concepito
per avere un termine lo snatura (ad esempio il ricorso a rinnovi reiterati di
contratti di lavoro a termine) rendendolo di nuovo nullo.
Dunque per questa ragione è ora il momento giusto in cui
porsi la domanda: vogliamo ragionare su "per quanto ancora"?
Per quanto ancora, ad esempio, non potremo (nemmeno quando saremo tutti vaccinati già ci dicono alcuni “specialisti”) scegliere di girare senza mascherine?
Per quanto ancora non potrò vedere il sorriso di un’amica in pubblico passeggiando?
Anche questo sarà oggetto di regolamenti calati dall’alto? Anche dopo che saremo tutti vaccinati?
Io non sono d’accordo! E lo voglio dire
ora, in tempi non sospetti. A quel punto si tratterà di regolare libertà
individuali all’interno di quelle sociali e non sarà accettabile che vengano regolamentate
né d’urgenza né coercitivamente.
Per questo è ora il tempo per ragionare di
un confine immaginato fra l’emergenza e la sua definitiva archiviazione a favore
di una “nuova normalità” per l’appunto, in cui tutti e soli i cittadini vivi,
impegnati a vivere le loro uniche esistenze possano scegliere, come hanno
imparato e confidato di poter fare nelle Scuole e nelle Università del loro paese, nel nostro caso’Italia, ai
tempi dei loro studi, di regolarsi come meglio credono fra le infinite incertezze che l’esistere di
per sé pone.
In frangenti come quello che stiamo
attraversando, mi chiedo: ma insomma, per continuare a dirci in democrazia, non
avrebbe senso immaginare, ad un certo momento, dopo un tempo che non può in re
ipso continuare per molto a definirsi emergenziale, ma diventa giocoforza una "nuova
normalità", raccogliere l'opinione dei cittadini per decidere come dipanare
l’esistenza comunitaria futura?
Non dico domani... Magari stabiliamo fra sei
mesi? Facciamo un annetto ancora? Che faccio signo', lascio?? O aspettiamo e basta?
Senza fregarcene della mancanza di un termine che ci avevano insegnato essere
essenziale?
C’è poi c’è la moralmente ingombrante questione de: “E' per il bene di tutti!”. Vorrei anche qui recuperare levità per aiutarci a
decidere con un minor peso sul cuore.
Non ci siamo improvvisamente trasformati
in Padri della razza umana di stampo biblico. Non si tratta di essere divenuti d’acchito
depositari del Bene platonico erga omnes e per sempre. Si tratta, molto più
prosaicamente, per quanto da non prendere alla leggera, del bene di tutti i
viventi hic et nunc. Perché agli altri esseri umani che hanno vissuto prima della Pandemia e che vivranno dopo di essa, della pandemia Covid-19 e dell'entità e durata delle restrizioni applicate sul genere umano vivente allora, non importava e non importerà un gran ché. A voi importa delle restrizioni che subirono nel periodo della
Spagnola?
Lo dico non per fare un ragionamento
superomistico o darwiniano, ma, al contrario, per sgravarci di questo apparente
fardello de: “è per l’umanità intera” di cui viene caricata, a volte, la questione.
Parliamoci chiaro: anche se il 90% degli umani morisse il restante 10% ripopolerebbe il pianeta nel giro di pochi lustri con effetti pressoché nulli sulla storia dell'umanità.
Quindi è una questione che riguarda il trade-off fra libertà e sicurezza delle vite nostre e nostre soltanto. Riguarda noi vivi ora, tutti noi e soltanto noi. Dunque lo stesso deve valere per le restrizioni, le rinunce e le speranze correlate.
Cerchiamo di prendere in mano la
questione con piglio fattivo. Per quanto siamo convinti che continuerà ad
essere il comportamento migliore quello di delegare (e ridurre consistentemente)
le libertà personali che esercitiamo nelle nostre brevi e irripetibili esistenze (solo di noi vivi
ora) come contromisura al rischio di contrarre il Covid (sempre solo noi e ora)? E’ in questi termini
che porrei la questione filosofica prima che di diritto.
Di qui l'altra domanda: nelle
more di questa presa di coscienza collettiva e della successiva scelta
democratica, continuando come stiamo facendo, fino a quando si continuerebbe de
facto a potersi definire in democrazia?
Beninteso, finora (è ancora per un po') condivido il modo in cui si è agito (per quel che può interessare). Ma nella
cornice teoretica della tradizione democratica "classica" di diritto
fino a che punto è legittimo protrarre questo stato?
Infine, va preso atto del fatto che c'è un fenomeno nuovo sotto il cielo dei paesi democratici (e non solo). E tutti i fenomeni nuovi vanno regolamentati con legislazioni ad hoc, come ad esempio si è tentato di fare per il mondo digitale. Anche di qui il mio chiedermi: ma per questo fenomeno nuovo non dovrebbe esistere un limite di durata alle limitazioni delle scelte personali? Val la pena pensarci per tempo?
Così, chiedo per un amico.. che amava i Beatles e i Rolling Stone, ma ora (e in assenza di termine) è finito in lockdown.
#PRINCIPIANTI (racconti)
Autore: Raymond #Carver
Anno pubblicazione: 2009
Io narrante, punto di vista e persona: terza e
prima persona, varia al variare dei racconti.
INCUBI E VISIONI: L’EREDITA’ DI H.P. LOVECRAFT - breve filmato trasmesso sulla RAI
#StephenKing – Elevation
Autore: #StephenKing
Anno pubblicazione: 2019
Io narrante, punto di vista e persona: quasi
esclusivamente scritto con il punto di vista del protagonista - terza persona.
Mediglia, 18 novembre 2020
La storia di un uomo che perde
inspiegabilmente peso. E con esso acquisisce levità. Levità nei confronti
dell’esistenza. Man mano che s’alleggerisce percepisce quanto il peso della
materialità opprima. King poi compie un
altro piccolo miracolo ed eleva anche noi lettori. Infatti, ancora una volta,
riesce ad alleggerire il peso delle pagine del suo scritto; talmente che quando
cominci a sfogliarle, fatichi a smettere, sfilano lievi al tocco e all’occhio.
Nel suo “On writing” confessò di sbirciare la
moglie Tabitha mentre legge le sue prime stesure, quando non se ne avvede, per
scoprire in quali punti posi la bozza. Lo fa perché sostiene che quelli sono i
punti in cui la tensione cala. Lì va ad incidere con le revisioni. Non posso
che constatare che sia riuscito nel suo intento.
Questo romanzo breve o racconto lungo, data l’usuale
mole delle opere di King, affronta alla maniera del Re il concetto del trapasso
e del rito che comporta. Il tutto calato nell’esistenza di un americano medio,
abitante di un paesino archetipico (talmente tipico da non esistere ed essere
stato concepito dalla mente dell’autore e poi utilizzato svariate volte nei suoi
romanzi: Castle Rock).
Anche questa volta, la forza del romanzo è “tutta”
qui. King riesce a raccontare ancora l'America contemporanea, o meglio, gli
Stati Uniti, come mi fecero notare amici Argentini una volta. Il paese
autentico, fatto di persone. Ognuna con i suoi rapporti umani fatti di
solidarietà e contrasti, di presenze e grandi assenze. Ci narra di cittadine
dove possono nascere facilmente amicizie e altrettanto facilmente sgretolarsi. Luoghi
che sono l’appendice di una società i cui abitanti sono abituati a concepirsi
come disancorati da riferimenti, siano essi una casa, dei genitori, amici o
luoghi. Persone che consapevoli di ciò, hanno avuto necessità di compensare e sviluppare
la capacità di stringere con altrettanta facilità nouvi rapporti profondi.
Esistenze in movimento figlie di un modello
dedito alla ricerca della fortuna materiale. King, così, mentre ci culla nel loro
sogno, coglie l’occasione per descrivere le traiettorie di queste esistenze, che più o meno ricche materialmente, restano tutte proiettate in quest’afflato. Per scoprire che il Sogno resta tale, sia
che venga coronato, sia che non ci si riesca, proprio perché puramente e
solamente materiale, non vivo, consolatorio. Così King, mentre ci parla di
storie di statunitensi ci racconta del Sogno americano; sempre dietro l’angolo, e
alla portata di tutti in teoria, ma i biglietti vincenti sono pochi come nelle
lotterie a premi.
Tutti possono partecipare, e per chi non viene
estratto resta l’incubo americano, suo contraltare altrettanto alla portata di
tutti, ma molto più frequentato. Che poi altro non è che il conto da pagare pro
capite per mettere insieme il monte premi per i relativamente scarsi biglietti
vincenti. Lo salderà la maggioranza, fatta di americani che erano, magari,
anche sulla strada buona ma, hanno incespicato, perdendo colpi (o mostrando
umanità) non riuscendo così ad imbroccare il proprio Sogno. Ecco che allora,
dalle sue ceneri, prende forma qualche altra fantasia distorta, deviante, emersa
da qualche anfratto dell’immaginario, antri dei quali il Re è il Re. Sogni cangianti,
come le ultime copertine dei suoi libri che, a seconda del riflesso, restano
tali o si trasformano in incubo.
Bravo Stephen, mi hai inchiodato ancora alla
pagina! Letto in due sere cercando di centellinarlo come fosse un Cognac millesimato.
#Simenon Georges – Il piccolo libraio di Archangelsk
Autore: #Simenon Georges
Anno pubblicazione: 1956
Io narrante, punto di vista e persona: quasi
esclusivamente scritto con il punto di vista del protagonista - terza persona.
Mediglia, 29 luglio 2020
#ILibrofili
#IClassiciDelLunedì
#Simenon – Il
piccolo libraio di Archangelsk. Una persona sparisce, un'altra comincia
a mentire, quasi tutti a sospettare.
Grazie all’impianto
narrativo, al liminare fra racconto e giallo, veniamo messi a parte del vissuto
interiore del protagonista che conduce un'esistenza sommessa e placida, all’apparenza
poco interessante. Ma è questa la forza dell’opera. Ben presto scopriamo che
sono queste le vite che meglio si prestano a celare segreti dannatamente
interessanti, vite che soggiacciono più facilmente a scendere a compromessi
morali profondi e duraturi, ma molto umani. Compromessi che le esistenze
“vincenti” nemmeno immaginano.
In un crescendo dagli
echi kafkiani, la rete della trama si stringe coralmente attorno al
protagonista e all'unico destino che egli riesce a immaginare per sé. Un
destino cui giunge attraverso il dipanarsi di ricordi, nostalgie, dolorose
assenze e silenti prese di coscienza circa la propria esistenza: presente,
passata e futura. Quella sparizione improvvisa diventa il foro da cui filtra il
dubbio, che fra entrare in risonanza la diga della sopportazione del piccolo
libraio, costretto a tracciare in silenzio e in solitudine un bilancio non più
rinviabile sulla propria esistenza. Su una vita spesa nel tentativo (riuscito?)
di divenire parte integrante di una piazzetta con mercato di un paesino per la
quale ha sempre nutrito autentico amore; l’unico posto che, invero, gli viene
in mente quando pensa alla parola casa. Lo stesso luogo con cui dovrà, infine,
fare i conti. Sarà riuscito a divenirne parte? Ma soprattutto, sarà riuscito a
percepirsi davvero uno di loro?
Simenon, a modo suo, ci
mostra come "dietro ogni (uomo solo) matto c'è un villaggio".
#Stoner – John Williams
Autore: John Williams
Anno pubblicazione: 2012
Io narrante, punto di vista e persona: quasi
esclusivamente scritto con il punto di vista del protagonista - terza persona.
Riccione, 23 luglio 2020