LA GRANDE FORESTA (racconti)

 Autore: William #Faulkner

Anno pubblicazione: 1955

Io narrante, punto di vista e persona: terza e prima persona, varia al variare dei racconti.

 


Mediglia, 24 aprile 2021

Se volete comprendere com'è che i cacciatori prima dell'inizio del ‘900 erano visti come gli unici veri ecologisti;

se volete comprendere come raccontando di faccende di un luogo ben preciso si possano fissare  su pagina temi universali;

se volete comprendere perché proprio da lui abbia scelto di “attingere” Ernest  Hemingway;

allora dovete leggere "La grande foresta" di William Faulkner.

 

Faulkner al termine della sua carriera riaduna e incastona quattro racconti lunghi, scritti in periodi diversi della sua vita, fra altri cinque brevi scritti incompiuti. Così facendo ci mette a parte del peso esistenziale di un’entità primordiale più grande degli esseri umani, bianchi e dalla pellerossa e del depauperamento che questi sono stati in grado, nel corso di soltanto pochi decenni, di infliggerle.

In Lei che le creature che la abitano acquisiscono auree mitiche, simboliche e ancestrali.

In Lei si sono snodati i fatti salienti che hanno cesellato intere generazioni bianche e dalla pellerossa, per secoli.

Questi episodi documentano lo scandirsi delle tappe fondamentali dell’esistenza di un manipolo di esseri umani (solo maschi, ai tempi era così): la conquista dell’adolescenza, la misurata maturità e la saggia vecchiaia.

La vera protagonista di queste storie è lei: La Grande Foresta. In lei si inizia un giovane poco più che bambino, che accompagna per la prima volta i grandi all’annuale caccia all'orso novembrina, della quale, fin da che ha avuto memoria, ha sentito raccontare attorno ai fuochi e ai camini.

Faranno seguito, ad anni di distanza, altre due scene tratte da altrettante cacce all’orso e al cervo, che vedranno protagonista la stessa comunità, nella quale, secondo la legge della ruota della vita, i ruoli dei protagonisti si spostano, fino a scambiarsi: da giovani spettatori a maturi protagonisti per tornare ad essere ancora una volta spettatori, anziani stavolta. Sempre incorniciati in quel quadro di senso che rappresenta La Grande Foresta.

Faulkner ha voluto accostare, al termine della sua carriera, tre epoche successive, quattro racconti scritti da lui stesso in momenti diversi della sua vita, forse rendendosi conto ex post che tutti avevano lei per protagonista: la Grande Foresta.

Ogni novembre, s’interrompe l’alacre lavorio della terra, tutti gli uomini adulti e sani si recano a vivere per quattordici giorni sotto lo stesso campo base, per celebrare questo rituale laico che scandisce le loro stagioni, le loro esistenze. Stavolta il cervo è scappato. Un giovane riflette:

“Ci sarebbero voluti ancora undici mesi e due settimane per correre di nuovo così  lontano e così veloce. Insomma, ero contento per lo stesso identico motivo per cui noi eravamo dispiaciuti, e così a un tratto pensai che forse piantare e coltivare e poi raccogliere avena e cotone e fagioli non era solo qualcosa che io e il signor Ernest facevamo per trecentocinquantun giorni per passare il tempo prima di tornare a caccia, ma era qualcosa che avevamo il dovere di fare e fare bene, e sul serio, durante tutti quanti i trecentociquantun giorni, per guadagnarci il diritto di tornare nella grande foresta e andare a caccia per i restanti quattordici; e i quattordici giorni in cui il vecchio cervo correva davanti ai cani non erano solo un passatempo per aspettare quei trecentociquantun giorni in cui non avrebbe dovuto farlo, ma quel correre e rischiare davanti a fucili e cani era qualcosa che aveva il dovere di fare per guadagnarsi il diritto a non essere disturbato per i restanti trecentociquantuno”

Anfitrione e Padrona assoluti di queste, celebrazioni, sono il Grande Fiume e la Grande Foresta. Attraverso il dipanarsi della narrazione l'occhio sapiente, saggio e sensibile dello scrittore giustappone elementi che ci restituiscono senza indulgere in moralismi tutta l’enormità dell’usurpazione da noi uomini perpetrata nei suoi (ma anche infine nei nostri stessi) confronti.

Quella stessa Grande foresta che nei ricordi degli anziani era incommensurabile e non distava dal paese che alcuni chilometri, percorsi allora in carro, già al termine dei racconti, soltanto qualche decina d’anni più tardi, dista diverse centinaia di chilometri e, anno dopo anno, stagione dopo stagione, queste distanze crescono ancora.

La Grande Foresta viene progressivamente ridimensionata, confinata, addomesticata, estirpata e sostituita da sterminati campi monocoltura di cotone e dai binari della ferrovia. Al punto che, nell’ultima parte della narrazione, anche servendosi delle prime automobili, agli uomini servono diverse ore per raggiungerla là, in quell'ultimo lembo vergine rimastole e rimastoci: quello protetto dal Grande Fiume, suo compagno.

Anno dopo anno, confinata in spazi sempre più angusti, falcidiata dal disboscamento dei terreni, dal loro spianamento per la produzione su larga scala del cotone e per far passare il treno, la Grande Foresta, tanto sterminata da ospitare creature enormi, fiere e leggendarie, in grado di evocare negli uomini rispetto, come il vecchio orso Ben dalla zampa storta, cervi dai palchi maestosi e puma, si riduce a un luogo piccolo, sotto il controllo dell’incauto uomo.

“Più grande e più antica di qualsiasi documento d’archivio – dell’uomo bianco abbastanza vanesio da credere di averne comprato un qualche pezzo, dell’indiano abbastanza temerario da dare a bere che un qualsiasi pezzo fosse suo da poterlo vendere; più antica persino del vecchio Ikkemotubbe, il capo Chicksaw”

Lembo dopo lembo fu sgretolata e ridotta a un ultimo spicchio di terra verde difesa dal Grande Fiume, suo compagno, allontanata dagli umani, dalle loro vite, dalle loro tradizioni e dalla loro considerazione.

Faulkner anticipa il problema della convivenza fra uomo industriale e resto dei viventi: animali e vegetali. Dimostra una mirabile sensibilità ecologica ante litteram, che gli consente di distinguere la differenza fra verdi: denuncia la sostituzione di uno autoctono, naturale, selvaggio e per questo ricco di biodiversità endemica, tale da fungere da habitat per altrettanti endemismi animali, con un altro verde, monocolore e monocolturale, di matrice per quanto vegetale, già industriale con tutto lo snaturamento e lo squilibrio di rapporti fra viventi e habitat che impone.

Le Belle Balle

Mediglia, 1 aprile 2021


Alle balle che ci raccontiamo, quando siamo in coppia, finiamo per credere, come a quelle che ci raccontiamo da soli. Sia che ce le si racconti in prima persona, sia che le racconti l'altra metà, sia che le si racconti in coro. Anche in questo la coppia rappresenta un unicum e un soggetto nuovo rispetto ai singoli.

Poi, a conti fatti, a relazione finita, quando si torna individui, chi ne soffrirà di più non sarà il più ingenuo, come accade normalmente per le bugie subite, ma colui al quale resterà meno tempo e possibilità per porvi rimedio. Di qualsiasi bel sogno si sia trattato.