Come non è detto che faccia bene al benessere dell’intero organismo questa reiterazione sine die. Prendiamo, ad esempio, gli antibiotici. Li assumiamo, in determinate circostanze precise, per curare quel popolo di cellule che coabitano in quel paese che è il nostro
corpo umano. E’ consigliato assumerli in quei casi precisi e solo in quelli. Si parte, cioè, dal
presupposto che non vadano assunti per ragioni diverse né per periodi troppo lunghi.
Pena, il rischio di nuocere gravemente al bebessere di quella straordinaria
società di cellule che è il corpo umano.
Noi esseri umani, in democrazia, già facciamo più fatica a
identificarci come un corpo unico e a preservare tale legame, di necessità più sociale che naturale. A maggior ragione, il fatto di reiterare indefinitamente, seppur
mediante nuovi atti pensati ad hoc per situazioni di necessità e urgenza, uno stato
di eccezionale riduzione delle libertà personali, tende facilmente a divenire ingiustificabile.
Diversa è una situazione di necessità e urgenza.
Altra è una situazione seria e prolungata che richieda atti necessari a gestirla. Altra
ancora una situazione sanitaria non più seria (pensando al futuro, appunto) che
richiederà atti regolatori dei comportamenti sociali (continuare a indossare le
mascherine quando saremo tutti vaccinati, ad esempio e che durerà, pare, per altri anni ancora).
Durante questo primo anno l’emergenza
Covid è stata tremendamente impattante in termini di rischio per le nostre vite (e continua ad esserlo).
Ma da qui a sei mesi, probabilmente, grazie alle robuste compagne vaccinali non risulterà più così tremendamente
impattante. Intendo non tanto da minacciare in modo così aperto e chiaro le vite da
non lasciare dubbio alcuno sul modo di operare (ad esempio penso all'adozione della misura del coprifuco durante una guerra). Allora mi chiedo: per quanto ancora e fino a che attenuazione del rischio la restrizione
delle libertà personali potrà continuare a considerarsi legittima in democrazia?
Perché me lo chiedo ora se ancora siamo
in piena emergenza?
Provo a spiegarlo. Secondo le mie reminiscenze
di diritto il termine è un elemento essenziale del contratto e la sua mancanza
lo rende nullo. Inoltre, ricordo che la reiterazione sine die di un contratto concepito
per avere un termine lo snatura (ad esempio il ricorso a rinnovi reiterati di
contratti di lavoro a termine) rendendolo di nuovo nullo.
Dunque per questa ragione è ora il momento giusto in cui
porsi la domanda: vogliamo ragionare su "per quanto ancora"?
Per quanto ancora, ad esempio, non potremo (nemmeno quando saremo tutti vaccinati già ci dicono alcuni “specialisti”) scegliere di girare senza mascherine?
Per quanto ancora non potrò vedere il sorriso di un’amica in pubblico passeggiando?
Anche questo sarà oggetto di regolamenti calati dall’alto? Anche dopo che saremo tutti vaccinati?
Io non sono d’accordo! E lo voglio dire
ora, in tempi non sospetti. A quel punto si tratterà di regolare libertà
individuali all’interno di quelle sociali e non sarà accettabile che vengano regolamentate
né d’urgenza né coercitivamente.
Per questo è ora il tempo per ragionare di
un confine immaginato fra l’emergenza e la sua definitiva archiviazione a favore
di una “nuova normalità” per l’appunto, in cui tutti e soli i cittadini vivi,
impegnati a vivere le loro uniche esistenze possano scegliere, come hanno
imparato e confidato di poter fare nelle Scuole e nelle Università del loro paese, nel nostro caso’Italia, ai
tempi dei loro studi, di regolarsi come meglio credono fra le infinite incertezze che l’esistere di
per sé pone.
In frangenti come quello che stiamo
attraversando, mi chiedo: ma insomma, per continuare a dirci in democrazia, non
avrebbe senso immaginare, ad un certo momento, dopo un tempo che non può in re
ipso continuare per molto a definirsi emergenziale, ma diventa giocoforza una "nuova
normalità", raccogliere l'opinione dei cittadini per decidere come dipanare
l’esistenza comunitaria futura?
Non dico domani... Magari stabiliamo fra sei
mesi? Facciamo un annetto ancora? Che faccio signo', lascio?? O aspettiamo e basta?
Senza fregarcene della mancanza di un termine che ci avevano insegnato essere
essenziale?
C’è poi c’è la moralmente ingombrante questione de: “E' per il bene di tutti!”. Vorrei anche qui recuperare levità per aiutarci a
decidere con un minor peso sul cuore.
Non ci siamo improvvisamente trasformati
in Padri della razza umana di stampo biblico. Non si tratta di essere divenuti d’acchito
depositari del Bene platonico erga omnes e per sempre. Si tratta, molto più
prosaicamente, per quanto da non prendere alla leggera, del bene di tutti i
viventi hic et nunc. Perché agli altri esseri umani che hanno vissuto prima della Pandemia e che vivranno dopo di essa, della pandemia Covid-19 e dell'entità e durata delle restrizioni applicate sul genere umano vivente allora, non importava e non importerà un gran ché. A voi importa delle restrizioni che subirono nel periodo della
Spagnola?
Lo dico non per fare un ragionamento
superomistico o darwiniano, ma, al contrario, per sgravarci di questo apparente
fardello de: “è per l’umanità intera” di cui viene caricata, a volte, la questione.
Parliamoci chiaro: anche se il 90% degli umani morisse il restante 10% ripopolerebbe il pianeta nel giro di pochi lustri con effetti pressoché nulli sulla storia dell'umanità.
Quindi è una questione che riguarda il trade-off fra libertà e sicurezza delle vite nostre e nostre soltanto. Riguarda noi vivi ora, tutti noi e soltanto noi. Dunque lo stesso deve valere per le restrizioni, le rinunce e le speranze correlate.
Cerchiamo di prendere in mano la
questione con piglio fattivo. Per quanto siamo convinti che continuerà ad
essere il comportamento migliore quello di delegare (e ridurre consistentemente)
le libertà personali che esercitiamo nelle nostre brevi e irripetibili esistenze (solo di noi vivi
ora) come contromisura al rischio di contrarre il Covid (sempre solo noi e ora)? E’ in questi termini
che porrei la questione filosofica prima che di diritto.
Di qui l'altra domanda: nelle
more di questa presa di coscienza collettiva e della successiva scelta
democratica, continuando come stiamo facendo, fino a quando si continuerebbe de
facto a potersi definire in democrazia?
Beninteso, finora (è ancora per un po') condivido il modo in cui si è agito (per quel che può interessare). Ma nella
cornice teoretica della tradizione democratica "classica" di diritto
fino a che punto è legittimo protrarre questo stato?
Infine, va preso atto del fatto che c'è un fenomeno nuovo sotto il cielo dei paesi democratici (e non solo). E tutti i fenomeni nuovi vanno regolamentati con legislazioni ad hoc, come ad esempio si è tentato di fare per il mondo digitale. Anche di qui il mio chiedermi: ma per questo fenomeno nuovo non dovrebbe esistere un limite di durata alle limitazioni delle scelte personali? Val la pena pensarci per tempo?
Così, chiedo per un amico.. che amava i Beatles e i Rolling Stone, ma ora (e in assenza di termine) è finito in lockdown.
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