#lockdown #vaccini - C’era un ragazzo che come me amava i Beatles e i Rolling Stone, ma poi finì in Lockdown

 

Mediglia, 21 marzo 2021


Già... In questi giorni mi capita di chiedermi, fra me e me, che cosa succederebbe se in una democrazia la maggioranza delle persone non desiderasse più fare qualcosa, tuttavia chi è al potere (e li rappresenta legittimamente) continuasse a perseverare nell'imporgliela.

Non è detto che una misura giusta e adeguata, per quanto difficile da sopportare, resti la migliore (o meglio, la più condivisa) a prescindere dalla sua durata. Giusto?

Come non è detto che faccia bene al benessere dell’intero organismo questa reiterazione sine die. Prendiamo, ad esempio, gli antibiotici. Li assumiamo, in determinate circostanze precise, per curare quel popolo di cellule che coabitano in quel paese che è il nostro corpo umano. E’ consigliato assumerli in quei casi precisi e solo in quelli. Si parte, cioè, dal presupposto che non vadano assunti per ragioni diverse né per periodi troppo lunghi. Pena, il rischio di nuocere gravemente al bebessere di quella straordinaria società di cellule che è il corpo umano.

Noi esseri umani, in democrazia, già facciamo più fatica a identificarci come un corpo unico e a preservare tale legame, di necessità più sociale che naturale. A maggior ragione, il fatto di reiterare indefinitamente, seppur mediante nuovi atti pensati ad hoc per situazioni di necessità e urgenza, uno stato di eccezionale riduzione delle libertà personali, tende facilmente a divenire ingiustificabile.

Diversa è una situazione di necessità e urgenza. Altra è una situazione seria e prolungata che richieda atti necessari a gestirla. Altra ancora una situazione sanitaria non più seria (pensando al futuro, appunto) che richiederà atti regolatori dei comportamenti sociali (continuare a indossare le mascherine quando saremo tutti vaccinati, ad esempio e che durerà, pare, per altri anni ancora).

Durante questo primo anno l’emergenza Covid è stata tremendamente impattante in termini di rischio per le nostre vite (e continua ad esserlo). Ma da qui a sei mesi, probabilmente, grazie alle robuste compagne vaccinali non risulterà più così tremendamente impattante. Intendo non tanto da minacciare in modo così aperto e chiaro le vite da non lasciare dubbio alcuno sul modo di operare (ad esempio penso all'adozione della misura del coprifuco durante una guerra). Allora mi chiedo: per quanto ancora e fino a che attenuazione del rischio la restrizione delle libertà personali potrà continuare a considerarsi legittima in democrazia?

Perché me lo chiedo ora se ancora siamo in piena emergenza?

Provo a spiegarlo. Secondo le mie reminiscenze di diritto il termine è un elemento essenziale del contratto e la sua mancanza lo rende nullo. Inoltre, ricordo che la reiterazione sine die di un contratto concepito per avere un termine lo snatura (ad esempio il ricorso a rinnovi reiterati di contratti di lavoro a termine) rendendolo di nuovo nullo.

Dunque per questa ragione è ora il momento giusto in cui porsi la domanda: vogliamo ragionare su "per quanto ancora"?

Per quanto ancora, ad esempio, non potremo (nemmeno quando saremo tutti vaccinati già ci dicono alcuni “specialisti”) scegliere di girare senza mascherine? 

Per quanto ancora non potrò vedere il sorriso di un’amica in pubblico passeggiando? 

Anche questo sarà oggetto di regolamenti calati dall’alto? Anche dopo che saremo tutti vaccinati? 

Io non sono d’accordo! E lo voglio dire ora, in tempi non sospetti. A quel punto si tratterà di regolare libertà individuali all’interno di quelle sociali e non sarà accettabile che vengano regolamentate né d’urgenza né coercitivamente.

Per questo è ora il tempo per ragionare di un confine immaginato fra l’emergenza e la sua definitiva archiviazione a favore di una “nuova normalità” per l’appunto, in cui tutti e soli i cittadini vivi, impegnati a vivere le loro uniche esistenze possano scegliere, come hanno imparato e confidato di poter fare nelle Scuole e nelle Università del loro paese, nel nostro caso’Italia, ai tempi dei loro studi, di regolarsi come meglio credono fra le infinite incertezze che l’esistere di per sé pone.

In frangenti come quello che stiamo attraversando, mi chiedo: ma insomma, per continuare a dirci in democrazia, non avrebbe senso immaginare, ad un certo momento, dopo un tempo che non può in re ipso continuare per molto a definirsi emergenziale, ma diventa giocoforza una "nuova normalità", raccogliere l'opinione dei cittadini per decidere come dipanare l’esistenza comunitaria futura?

Non dico domani... Magari stabiliamo fra sei mesi? Facciamo un annetto ancora? Che faccio signo', lascio?? O aspettiamo e basta? Senza fregarcene della mancanza di un termine che ci avevano insegnato essere essenziale?

 

C’è poi c’è la moralmente ingombrante questione de: “E' per il bene di tutti!”. Vorrei anche qui recuperare levità per aiutarci a decidere con un minor peso sul cuore.

Non ci siamo improvvisamente trasformati in Padri della razza umana di stampo biblico. Non si tratta di essere divenuti d’acchito depositari del Bene platonico erga omnes e per sempre. Si tratta, molto più prosaicamente, per quanto da non prendere alla leggera, del bene di tutti i viventi hic et nunc. Perché agli altri esseri umani che hanno vissuto prima della Pandemia e che vivranno dopo di essa, della pandemia Covid-19 e dell'entità e durata delle restrizioni applicate sul genere umano vivente allora, non importava e non importerà un gran ché. A voi importa delle restrizioni che subirono nel periodo della Spagnola?

Lo dico non per fare un ragionamento superomistico o darwiniano, ma, al contrario, per sgravarci di questo apparente fardello de: “è per l’umanità intera” di cui viene caricata, a volte, la questione.

Parliamoci chiaro: anche se il 90% degli umani morisse il restante 10% ripopolerebbe il pianeta nel giro di pochi lustri con effetti pressoché nulli sulla storia dell'umanità.

Quindi è una questione che riguarda il trade-off fra libertà e sicurezza delle vite nostre e nostre soltanto. Riguarda noi vivi ora, tutti noi e soltanto noi. Dunque lo stesso deve valere per le restrizioni, le rinunce e le speranze correlate.

Cerchiamo di prendere in mano la questione con piglio fattivo. Per quanto siamo convinti che continuerà ad essere il comportamento migliore quello di delegare (e ridurre consistentemente) le libertà personali che esercitiamo nelle nostre brevi e irripetibili esistenze (solo di noi vivi ora) come contromisura al rischio di contrarre il Covid (sempre solo noi e ora)? E’ in questi termini che porrei la questione filosofica prima che di diritto.

 Di qui l'altra domanda: nelle more di questa presa di coscienza collettiva e della successiva scelta democratica, continuando come stiamo facendo, fino a quando si continuerebbe de facto a potersi definire in democrazia?

Beninteso, finora (è ancora per un po') condivido il modo in cui si è agito (per quel che può interessare). Ma nella cornice teoretica della tradizione democratica "classica" di diritto fino a che punto è legittimo protrarre questo stato?

Infine, va preso atto del fatto che c'è un fenomeno nuovo sotto il cielo dei paesi democratici (e non solo). E tutti i fenomeni nuovi vanno regolamentati con legislazioni ad hoc, come ad esempio si è tentato di fare per il mondo digitale. Anche di qui il mio chiedermi: ma per questo fenomeno nuovo non dovrebbe esistere un limite di durata alle limitazioni delle scelte personali? Val la pena pensarci per tempo? 

Così, chiedo per un amico.. che amava i Beatles e i Rolling Stone, ma ora (e in assenza di termine) è finito in lockdown.