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Io (#Berlusconi) lo tengo presente così…

                                                                                                                   Mediglia, 18 giugno 2023 




Il berlusconismo, esattamente come il fascismo, non è la più grande catastrofe culturale del nostro tempo. Ma, sempre come il fascismo è stato rispetto ai totalitarismi, ne è una declinazione.

Berlusconi fu la “miglior” incarnazione italiana di un fenomeno storico sociale, tutt’ora in atto, che rappresenta forse la peggior crisi delle democrazie contemporanee.

Ma egli fu in buona compagnia. Il fenomeno, al contrario dell’interprete italiano, gode di ottima salute. Nelle varie democrazie contemporanee, altri come lui, forse meno iconici, con tratti simili, anche se non identici, sono venuti alla ribalta; e anche rispetto a questo aspetto il paragone con il fascismo e i totalitarismi ben si attaglia alla fattispecie.

Penso a Jair Bolsonaro in Brasile, a Donald Trump in USA, a Boris Johnson in Gran Bretagna, per citare gli esponenti più in vista. Ma sono convinto che se si facesse un'indagine approfondita se ne potrebbe individuare uno per quasi ogni democrazia contemporanea.

Si tratta delle "migliori" incarnazioni di una congerie di disvalori che trasversalmente affliggono le democrazie contemporanee tutte.

I loro esponenti, in modo più o meno sovrapponibile, anche se con accenti differenti, propugnano la furbizia al posto del valore, il far poco per avere molto come stile e obiettivo di una vita piuttosto che il piacere della fatica che consente di realizzarsi (si badi bene che, nella realtà, queste persone nella loro vita privata sono estremamente operose, contrariamente a quanto questa filosofia di vita vorrebbe far credere), l'apparire piuttosto che l'essere, il coltivare il piacere edonistico fino a farlo assurgere a vizio piuttosto che la coltivazione della virtù come fondamentale fattore per la realizzazione di sé, la comodità stolida e inetta alla fatica che fa crescere, un’epidermica avversità per il rispetto delle regole sociali e per gran parte delle istituzioni democratiche, che dipingono come colpevoli di drenare parte delle loro intoccabili risorse e delle loro irriducibili e sacrosante libertà personali.

Libertà, le loro, che, in questa esegesi della Vita non dovrebbero venir mai, in alcun modo, scalfite, depotenziate, contenute. Nemmeno se il prezzo da pagare fosse la tutela di una minorenne, la tutela dello Stato attraverso una contribuzione alle imposte, che dovrebbe valere per tutti o per nessuno, il sottoporsi, come tutti, alla Legge, la tutela del polmone verde del mondo, l’appartenenza a un contesto di paesi membri fra loro aventi pari diritti, per citare esempi che riguardano i Nostri Quattro.

Essi, in accordo con l’ideale che propugnano e incarnano, s’identificano con esseri forti, più potenti e acclamati dei generici "altri". “Altri” che si guardano bene dall’identificare precisamente, individualmente. Si tratta sempre di categorie “altre”, per l’appunto, rispetto a coloro ai quali, di volta in volta si rivolgono. Grazie a questo gioco di prestigio l’elettorato attivo non si sente mai privato di alcunché. Al contrario sente che questi Eletti, se eletti, saranno (sarebbero) in grado di difenderli da quegli “altri” che li minacciano, in maniera più o meno fumosa rispetto a una presunta libertà di serie A, altrettanto fumosa, ma non ancora avveratasi, che gli Eletti (se eletti) potrebbero realizzare in terra. Un’età dell’Oro postmoderna, insomma.

È interessante notare che questa invocata libertà dovrebbe appartenere a tutti, e ciononostante dovrebbe magicamente non limitare quella di nessun altro. Una libertà in grado di moltiplicare i servizi pubblici riducendo le imposte e tasse, ad esempio. Una libertà che, per colpa di quegli “altri”, purtroppo viene al momento, fatalmente, negata. Questa struttura di rappresentazione del reale costituisce un ottimo convogliatore e capro espiatorio della rabbia sociale, questa sì presente fin d’ora e divisa, sempre a detta di questi esponenti, equanimemente.

Un altro aspetto interessante riguarda il fatto che questa pretesa “libertà” non è per tutti (o forse sì, dipende dal fatto che si sia o meno in campagna elettorale, durante questi periodi epifanici viene promessa erga omnes). Durante il resto della normale vita democratica questi emissari, si sentono divulgatori di un credo che dovrebbe consentire a loro e ai propri accoliti soltanto di  assurgere a un livello di umanità più umana, parafrasando Orwell.

Essi finiscono così per sentirsi gli esponenti di un’umanità bifronte: umana in via di principio, ma nei fatti insofferente a qualsiasi accorgimento democratico che intenda elevare, o almeno preservare l’equilibrio della società tutta e dei viventi in genere (umani, animali e vegetali, si veda la becera  e colpevole distruzione della foresta amazzonica), qualora pretendesse, in qualsiasi modo, di limitare la loro libertà che dovrebbe, sempre secondo il loro sentire, poter debordare costitutivamente, sorgivamente e platealmente sul resto del mondo, incontrastata.

Come squalificare un’azienda di certificazione

#economia, #formazione, #organizzazionesociale, #scuola

 Mediglia, 22 maggio 2022

 


Se volessi sabotare un'azienda, squalificarla, che farei? Poniamo un'azienda di servizi. Più precisamente un'azienda che rilasci patenti o certificazioni di un qualche tipo.

Probabilmente l’azione più efficace da intraprendere sarebbe quella di tentare di svalutare i titoli che rilascia.

Tentare di far in modo che non siano più segnaletici di alcun valore aggiunto.
Far sì che in coloro che li conseguono non attestino più alcuna competenza speciale, desiderabile e rara rispetto alla popolazione, in genere. Se l’operazione mi riuscisse, sia i titoli erogati che l’azienda finirebbero per perdere valore sia agli occhi del mercato che della società tutta.

Certo. Ma come potrei attuare un simile proposito? Non è facile! Dovrei agire su più fronti. Ad esempio, cominciando a concedere questi titoli a chiunque ne faccia domanda. A prescindere dal fatto che abbia o meno raggiunto gli obiettivi minimi auspicati per essere giudicato titolabile.

Va bene. E poi? E poi si potrei richiedere per legge altre certificazioni successive per concedere di fare qualsiasi cosa.

D’accordo, e poi? E poi, se non bastasse, potrei colpire gli stessi formatori. Fiaccarli, zepparli di adempimenti, demotivarli, inibirli, confonderli e screditarli agli occhi dei più.

Fiaccarli. Con innumerevoli adempimenti che tolgano loro energie per formare e trasmettere il sapere utile con gioia.

Zepparli. Con adempimenti e scadenze che li facciano annaspare, disorientare e distogliere dal compito precipuo della trasmissione delle conoscenze, abilità e competenze realmente utili a fare la differenza per coloro i quali intraprendano il percorso formativo.

Demotivarli. Riconoscendo loro sempre meno sia in termini economici reali (basterebbe non adeguare il loro stipendio all'inflazione per qualche anno), sia in termini di riconoscimento del loro ruolo sociale.

Inibirli. Togliendo loro sempre più potere all'interno dell'azienda. Sia dal punto di vista didattico che disciplinare all'interno dei corsi e poi, rendendoli succubi dei loro superiori e di leggi e regolamenti che, apparentemente, tutelano chi si sta impegnando per conseguire quella certificazione; chi per ottenere essa sta investendo il suo tempo, il suo denaro, le sue speranze e anni irripetibili della sua esistenza. Inserendo per essi tutta una serie di diritti "a non fare" che, nel lungo periodo, per l’appunto, finirebbero per svalutare la certificazione.

Confonderli. Attuando dei continui cambi di regole, d’indirizzo e di programma, spesso contraddittori e privi di qualsiasi lungimiranza strategica.

Screditarli. Dal punto di vista sociale, del riconoscimento economico e professionale. Agendo anche sul sistema di reclutamento, che poi è il fattore principale che, nel medio lungo periodo, garantisce un'autoselezione di profili che tenderanno a divenire così sempre
più mediocri, finendo con l’affossare definitivamente l'azienda.

Tutto a vantaggio di chi? A vantaggio della concorrenza di altri certificatori (magari privati, amici di amici) e a vantaggio di chi li dovrà dirigere. Infatti i nuovi individui "certificati"
saranno meno competenti, più ignoranti e perciò più facilmente manipolabili.

Ogni riferimento e analogia con una certa struttura della Pubblica Amministrazione italiana non è del tutto casuale.

Buon #25aprile

 

#comportamento, #globalizzazione, #organizzazionesociale, #politica

 

Mediglia, 25 aprile 2022


Durante le guerre quasi tutti (i cittadini) vogliono la pace. Le differenze cominciano a delinearsi quando si passa ad analizzare il modo in cui ottenerla. Esistono potenzialmente infinite soluzioni di pace. Si va dall’annientamento integrale di una delle due parti, che determina anch’esso un tipo di pace, a quello della parte avversa, che porta anch’esso a un tipo di pace, evidentemente diverso dal primo, fino a giungere all’annientamento di entrambi i contendenti, che porta a un tipo di pace ancora differente. In generale, le paci, si distribuiscono su gradazioni intermedie fra queste, che prevedono quote di annientamento dei due contendenti più o meno complete.

Dunque la domanda di senso, quando si è di fronte a un conflitto non può essere se si vuole la pace, ma per che tipo di pace si propende. Tale posizione implica di per sé già una qualche dose di compromesso realistico. Infatti la pace, qualsiasi pace, si fonda su compromessi. Compromessi condivisi e rispettati fra le diverse libertà, fra i diritti e i doveri reciproci. Questo punto è molto importante. Tanto che, a ben vedere, è proprio quando si mal sopportano tali allocazioni (o quando sono palesemente inique) che si preparano i terreni dei futuri conflitti. Tale effetto si è dimostrato valido per i conflitti passati e promette di esserlo anche per quelli presenti e futuri. Di qui l’importanza di avere ben chiare queste implicazioni tutte le volte che ci chiede: “Che tipo di pace desidero?”

La guerra, una volta cominciata, la vince colui il quale ottiene la pace che desidera. Chi perde, invece, qualora non venga eliminato completamente, è costretto ad accettare la pace imposta dalla controparte.

Prioritario, affinché la futura pace sia duratura, resta come scrivevo, il fatto che sia giusta. Dunque è cruciale definire quando una pace può dirsi realmente giusta per i sopravvissuti. Purtroppo (o per fortuna) non dispongo di una risposta che valga erga omnes, esaustiva e bell’e pronta. Tuttavia vorrei continuare a esporre alcune considerazioni che ritengo abbiano a che fare con il tema.

Ritengo che qualunque pace giusta non possa legittimare l’aggressione e la conquista armata attuata da un paese nei confronti di un altro, libero e sovrano. Altrimenti passerebbe il messaggio per cui la comunità mondiale (preferisco questo termine a quello che percepisco come più elitario di comunità internazionale) avallerebbe tale modus operandi che altro non è se non l’attuazione della ferina, primitiva e barbara “legge” del più forte. Legge che legge umana positiva non è, ma di legge di natura, al più.

Oltre al tipo di pace che si desidera ottenere, esito finale di una guerra, poi tocca anche valutare e decidere che tipo d’impegno profondere nel corso di una guerra, tenuto conto che non sempre le guerre si possono vincere. Per prendere questa decisione va tenuto presente che oltre all’esito finale di una guerra, assume grande rilievo il costo sopportato per vincerla dal più forte. Dunque, anche qualora non si riuscisse a vincere una guerra si potrebbe renderla estremamente costosa e sconveniente per l’aggressore. In tal modo gli si farebbe pagare talmente cara la “pace” che poi imporrà, da disincentivarlo a ritentare l’operazione in futuro. Se si propende per tale posizione di resistenza, questa va alimentata e difesa finché se ne ha la forza. Infatti ogni singolo sforzo profuso in tal senso rende meno appetibile il guerreggiare come modus operandi, sia nel presente che nel futuro, sia in quella guerra che in generale. Al contrario, ogni ripiegamento lo incentiva. Questo è il senso della resistenza nel presente che dà esempio di sé per il futuro.

Se ci pensiamo constatiamo che funziona allo stesso modo anche nella logica individuale: chiunque quando valuta se può o meno permettersi di avere qualcosa, lo fa in base al prezzo che deve pagare per ottenerla. Anche per questa ragione, oltre che per una ragione di compassione umana per gli aggrediti, che do per scontata, ha senso resistere. Resistere alza la posta in gioco per l’usurpatore rendendo la guerra un cattivo affare, anche per il futuro. Se tale resistenza viene coadiuvata dalla comunità mondiale può giungere a stigmatizzare quel modus operandi fino a renderlo de facto inattuabile, diseconomico e perciò inattuale, secondo il pensiero dell’umanità contemporanea mondiale tutta.

Per tutto quanto esposto, personalmente ritengo, giusto fornire a un paese aggredito militarmente senza ragione da un altro sul suo territorio sovrano, tutto il supporto militare difensivo possibile, incluso quello più avanzato tecnologicamente, da parte delle altre nazioni.

Non ritengo invece giusto che le altre nazioni gli forniscano mezzi militari in grado di portare attacchi sul territorio dell’aggressore, che resta altrettanto sovrano nel suo territorio, nonostante la condotta attuata. Ciò in quanto non credo che si possa combattere (in primis concettualmente) un’aggressione territoriale fornendo all’aggredito le possibilità di attuarne un’altra di segno opposto.

Tuttavia ritengo anche che il paese aggredito, a livello individuale e nei limiti delle proprie risorse personali, abbia pieno diritto a contrattaccare, anche sul territorio dell’aggressore.

La comunità mondiale, invece, dovrebbe sempre, a mio avviso, avere sia il diritto che il dovere civile, finché il paese aggredito non decida di arrendersi a suo insindacabile giudizio, beninteso, di fornirgli tutta l’assistenza possibile. Sia essa umanitaria, alimentare, sanitaria e militare; quest’ultima purché limitata alla sola difesa, ribadisco. Il tutto per riaffermare il diritto universale, se non ad avere una pace giusta, almeno a favorire una condotta internazionale giusta, anche nell’affrontare un frangente che di giusto ha ben poco.

Buon 25 aprile 2022!

Fantascenari #ucrainawar

 Mediglia, 12 aprile 2022


Stanotte ho avuto un’epifania. No, non una bella. Una più simile a quelle di cui doveva cadere preda Cassandra. Una di quelle nelle quali tessere di un mosaico grande, enorme, sconfinato, esteso come il mondo conosciuto, improvvisamente vanno al loro posto, realizzando una nuova composizione che non è, si badi, l’unica possibile, ma certamente è una di quelle realisticamente possibili.

Vedo un uomo, un uomo diventato molto potente. Un asiatico che vive nel centro del continente. E’ diventato così potente da non dover più spostarsi per incontrare gli altri. Sono gli altri che si spostano per vedere lui, quando glielo concede. Egli non si sposta più nello spazio, ma nemmeno nel tempo, in un certo senso. Affinché ciò potesse avvenire, infatti ha fatto cambiare la Costituzione del suo paese: è cambiata lei purché non cambiasse lui.

L’uomo ha un altrettanto potente vicino. Questi ha molte ragioni per spalleggiarlo e, da quando il dado è tratto, queste ragioni non fanno altro che gonfiarsi, giorno dopo giorno, sanzione dopo sanzione, come fossero una palla di neve che, rotolando, tende a divenire una valanga che trascina tutto ciò che tocca con sé.

Ma torniamo al primo uomo, il più potente. Egli è tanto potente che il suo potere non si può più misurare con il denaro, come accade per gli altri. No, nel suo caso il denaro torna ad essere un mezzo e non un fine, come ormai accade invece per gli inconsapevoli più. Nel suo caso il denaro, tanto per cominciare, ha un altro colore: non è verde e nemmeno arcobaleno. No, stavolta si cambia davvero: è di un colore che qui, in Occidente, molti non saprebbero nemmeno dire. Anche questo dà la misura della novità e della genialità perversa posseduta da egli nell’ordire e nell’agire. Dà  un'idea della sua capacità di dissimulazione e programmazione combinate.

La valuta di cui sto parlando è lo Yuan, l’uomo al centro dell’Asia è Xi Jinping e il suo sodale, pronto a fare il lavoro più sporco e duro, è Vladimir Putin.

Ecco che, collocate in questo mosaico globale, alcune azioni del capo del Cremlino tornano a comporsi in un quadro di senso, se così si può definirlo. Ecco perché non si ferma (e riesce a non doverlo fare) nemmeno davanti alle sanzioni occidentali ed ecco perché il rublo non si deprezza. A sostenere la valuta russa (e l’azione di Putin) c'è qualcos'altro, qualcosa di forte. Potrebbe trattarsi di un vero gigante valutario planetario che sta pompando Yuan nel cuore del sistema finanziario del secondo gigante (militare) non allineato alla globalizzazione occidentale: quello russo.

Se dal lato russo il vantaggio di tale alleanza è tanto immediato quanto evidente, da quello cinese lo diviene riflettendo su ciò che questa “operazione speciale” consente alla Cina di sperimentare. Infatti le consente di oliare, facendone pagare l'eventuale prezzo alla Russia, i meccanismi istituzionali globali alternativi che da un decennio almeno sta tessendo. Nel farlo acquisisce, peraltro, nel suo areale d’influenza il più temibile nemico dei suoi principali rivali: gli Stati Uniti. Infatti la Russia, a causa delle sanzioni occidentali è costretta a ricorrere quasi interamente alle istituzioni alternative che ha creato nel tempo, per internet, per i trasferimenti bancari, per lo scambio di valute, di bonifici, per le comunicazioni, per gli acquisti online e per ogni altra cosa necessaria. Inoltre sarebbe paradossale continuare a investire Yuan per finanziare il debito pubblico statunitense essendo il loro maggiore competitor.  

 Ironia della sorte come spesso accade, forse Galeotto fu il Covid (del diavolo, speriamo che almeno questo non sia stato preordito da Xi). Infatti il virus ha fornito l’occasione perfetta all’economia del gigante giallo per fare prove di “sgancio” da quella occidentale, non sospette. E le prove sì, sono andate bene. Tanto che la Cina ha cominciato a fare la voce più grossa sul piano internazionale: è avvenuto a Hong Kong come a Taiwan, fino a giungere al rifiuto di partecipare (ufficialmente a causa del Covid) agli ultimi summit internazionali organizzati, si noti, all'interno delle cornici delle Istituzioni globali occidentali.

Lui non si sposta, sono gli altri leader che si orientano a Oriente, verso di lui.

Facendo una carrellata della politica internazionale cinese ci si rende conto che dacché è al potere Xi Jinping, punta a questo ruolo di leadership mondiale. A partire dalla creazione di rapporti con i paesi dell’Africa e del Sud America, attuata con la modalità del land grabbing, per arrivare ai tentativi fatti in Europa con la nuova via della seta. Attualmente il Gigante asiatico vanta rapporti economici consolidati di primaria importanza, spesso più radicati di quelli degli stessi statunitensi, con la stragrande maggioranza dei paesi non filooccidentali e non soltanto con loro. Si tratta di importanti mercati di sbocco. Finora il principale mercato di sbocco per i cinesi sono stati l’Europa e gli Stati Uniti, rispettivamente, ma ora, anche sotto questo profilo, il terreno comincia ad essere pronto per altre colture.

Finanziariamente parlando gli Stati Uniti sono stati il principale mercato di reinvestimento degli Yuan guadagnati dalla Cina fabbrica del mondo negli ultimi decenni a causa dei loro deficit gemelli (Debito Pubblico e Bilancia dei pagamenti in perenne preoccupante passivo), tanto da venire additati come ricattabili dalla Cina in virtù di ciò. Ciononostante gli USA sono stati finora ben felici di giovarsi degli investimenti cinesi. Nonostante così facendo abbiano covato il tesoro cinese determinandone un ulteriore incremento.

Chissà, forse si dicevano: “tanto non sono militarmente pericolosi. Sono, anzi, piuttosto servili: sono sempre pronti a produrre per noi qualsiasi cosa”. Ed è vero anche questo. Infatti producono di tutto. Ma mentre lo fanno imparano a farlo e sempre meglio, mentre USA e UE disimparano e sempre di più, regalando in cambio denaro e ringraziando.

Finché Putin e Xi si guardano e si scoprono complementari: il temibile ex agente KGB trova un nuovo ingaggio all’altezza delle sue potenzialità da Presidente. Un ingaggio che fornisce a lui (e alla Russia) un possibile recupero del ruolo di leader mondiale. Un posizionamento sensato nel mosaico di un nuovo possibile ordine mondiale alternativo a questo status quo che offende lui e il suo Paese, da decenni ormai.

Si tratta di un ordine mondiale alternativo se non auto profilantesi, almeno profilabile. Basta avere vision, creatività strategica e caparbietà nella voglia di affermazione. Tre caratteristiche che non mancano certo né a Putin, né a Xi Jinping.

Così, è verosimile che ci siano stati dei contatti fra i due? Non si sa. Probabilmente si è trattato e si tratta più di un constatare le mosse indipendenti reciproche sul campo e uno schierarsi di conseguenza, di volta in volta, riscoprendosi sempre un po’ più complementari, piuttosto che un preaccordarsi a tavolino, abitudine più della vecchia Europa democratica. Si tratta più di mostrare con il susseguirsi di successivi atti indipendenti ma componibili come tessere di un unico mosaico che di un darsi appuntamenti, di nuovo, nello spazio e nel tempo. Infatti le azioni dell’uno s’incastrano, quasi naturalmente, con le esigenze dell’altro e viceversa. E no, non è un caso. Si tratta di esigenze, a loro volta esito degli angusti spazi di manovra lasciati storicamente a disposizione delle due potenze da parte del cosiddetto Occidente.

In questo quadro, le sanzioni e la disapprovazione occidentale contingenti, sempre che i conti siano stati fatti bene rendendole efficaci davvero, non faranno che esacerbare questo processo di sfilamento dalla globalizzazione occidentale per conferire sempre una maggiore alterità reale a quella che definirò orientale.

Se invece i conti non fossero stati fatti bene, il rischio diventerebbe ancora peggiore. Infatti in questo nuovo scacchiere profilantesi, molto più vasto, sia nel tempo che nello spazio, non riducibile alla contesa russo-ucraina, né a quella russo-occidentale, loro possono dire che “le battaglie non si perdono, si vincono sempre”, come scriveva il Che. L’orribile spallata che oggi causa morte e orrore, condotta con abiezione nella vicina e piccola Ucraina, giungerà al suo scopo, sancendo l’affermarsi di questo nuovo assetto globale: la globalizzazione binaria. Mentre, in itinere, i vecchi Stati nazionali si scoprono a guardarsi l’un l’altro per cercare d’indovinare, persino all’interno del territorio europeo, chi sceglierà di strizzare l’occhio a chi e intanto la Cina consegna personalmente una fornitura di missili alla Serbia.

Comunque, dicevo, se i conti fossero stati fatti male i russi non solo acquisirebbero uno sbocco diretto sul mar Nero e l’enorme cambiamento votato a questo doppio standard globale alternativo prenderebbe l’avvio con decisione, ma lo farebbe sancendo anche un modus operandi: quello della violenza.

Resta sullo sfondo, a prescindere dall’esito di questa battaglia, il fatto che ormai, a livello di competzione globale, si tratta di oliare i meccanismi economici, finanziari e istituzionali di questa globalizzazione orientale rendendola effettivamente alternativa. La partita sta qui.

Nel mentre l’Occidente cosa può fare rispetto a questa nuova sfida di macro variazione globale? Difficile dirlo, ma prendere coscienza lucida di questo processo in essere, costituisce senz'altro il primo passo di qualsiasi cammino si sceglierà d’intraprendere.

Ora proverò a rispegnere la luce e a tornare a dormire ma si sa: “Il sonno della ragione genera mostri”, mentre quello del comfort genera miopi impegnati ad accapigliarsi sulle proprie ristrette e paranoiche visioni.

Il #complottismo è come le ciliegie

 Mediglia, 21 giugno 2021

 

“Le persone credono ai complotti per non accettare la realtà”

U. Eco

https://thevision.com/cultura/umberto-eco-attualita/?fbclid=IwAR1zAUaocwFDRR9__ItqKxpdXXoB0u_m0VI_0TFesiF9u4x0Fnxv7jja8xs

 


D'accordo con Eco in pieno. Aggiungo un’osservazione non fatta dall’eminente semiologo. Un altro possibile motivo per cui molti amano il complottismo, a mio modo di vedere, è dato dal fatto che assume SEMPRE l'essere umano quale protagonista è regista della realtà. L'antropocentrismo che ci contraddistingue e rincuora anche nelle teorie complottiste più spaventevoli (virus creati e diffusi dall'uomo, per esempio) se da un lato è inquietante, dall'altro è consolante perché vede l'uomo (alcuni perlomeno) ancora una volta “deus ex machina”, seppur perversi, nell'orchestrazione degli eventi.

Ecco che il complottismo può essere letto così anche come una sorta di prodotto di scarto dell’Illuminismo. La fede dell’uomo nell'uomo che sa, che governa, che è già a conoscenza, come gli avvistamenti di UFO non diffusi, tuttavia già conosciuti dai Governi dei paesi più potenti.

Paradossalmente il complottismo mette in pace rispetto al bisogno di protagonismo della specie Sapiens.

Così a coloro ai quali fa troppa paura accettare che siamo, nostro malgrado, fondamentalmente e prima di tutto, tutti sottoposti a Leggi più grandi di noi, ecco che il complottismo viene in soccorso travestito da razionale coraggio di analizzare la realtà.

Ma il complottista, sempre a mio modesto parere, lungi dall'essere un coraggioso che "pre-vede" ciò che gli altri si rifiutano ancora di concepire, il più delle volte, è un romantico. È proprio lui il primo che si rifiuta di prendere atto della pochezza della nostra voce in capitolo in fatto di Destino (di tutta l’umanità).

Concludendo, il complottismo assolve a diverse necessità di questi uomini:

consente loro di avere l’impressione che il Destino sia sempre e comunque in mano all’essere umano;

consente di uscire dal timore e dall’ansia che una vita non completamente controllabile genera dall’uomo genera;

consente di trovare un ipotetico capro espiatorio che permetta di trasformare ansia e timore in rabbia da direzionare all’esterno di sé, avendo l’impressione di riuscire a fare la differenza su quel tema che li relegava allo scomodo ruolo di passivi spettatori e vittime.

“Va bene c’è una pandemia, ma sai che c’è?! L’abbiamo creata noi”

Beninteso, non lo escludo nemmeno io. Ma da qui a dire che l’abbiamo anche volontariamente diffusa e governata noi, il passo è molto lungo. È possibile forse persino probabile, che il virus sia stato creato in laboratorio. Ma è altrettanto certo che non rientrava nella volontà umana diffonderlo al suo esterno, soprattutto in modo da rovinare per prima l’esistenza del paese che l’avrebbe diffuso. Ma già vedo i complottisti dire che “sono stati gli americani a portarlo a Huan”. Perché il complottismo è come le ciliegie. Una spiegazione a un aspetto di esso, getta le basi per la teoria successiva.

Le Belle Balle

Mediglia, 1 aprile 2021


Alle balle che ci raccontiamo, quando siamo in coppia, finiamo per credere, come a quelle che ci raccontiamo da soli. Sia che ce le si racconti in prima persona, sia che le racconti l'altra metà, sia che le si racconti in coro. Anche in questo la coppia rappresenta un unicum e un soggetto nuovo rispetto ai singoli.

Poi, a conti fatti, a relazione finita, quando si torna individui, chi ne soffrirà di più non sarà il più ingenuo, come accade normalmente per le bugie subite, ma colui al quale resterà meno tempo e possibilità per porvi rimedio. Di qualsiasi bel sogno si sia trattato.


Il #MES rende liberi (!?)

Das #ESM setzt frei (!?)
El #ESM libera (!?)
l' #ESM libère (!?)

Mediglia, 2 aprile 2020


Un accostamento forte per un altrettanto forte opportunità per l’Unione Europea e per i suoi cittadini. Un claim forte per far ottenere la dovuta visibilità a una scelta cruciale, come tutte le scelte d’indebitamento degli Stati, di grande entità e durata nel corso della Storia che riverbererà i suoi effetti nel lungo periodo, incidendo profondamente sulle vite di noi europei.
Nonostante nell’immediato si sia impegnati strenuamente a difenderci dalla contagiosità della pandemia da Covid-19, occorre che ognuno di noi, cittadini dell’Unione Europea, cerchi di rendersi edotto rispetto alle scelte che stanno per essere compiute sulle nostre teste.
Perciò ho ritenuto importante dare il mio contributo come economista e scrittore dilettante mettendomi al servizio di quanti vorranno avvantaggiarsene, leggendo quanto ho scritto di seguito.


Il MES. Cos’è?i

Il MES o Meccanismo Europeo di Stabilità è un’organizzazione intergovernativa europea attiva dal luglio del 2012. Ha sede in Lussemburgo. È gestito dai ministri finanziari dell'Area Euro, presieduti dal Presidente dell'Eurogruppo, da un Board of Directors (i cui membri vengono scelti dai ministri finanziari), da un Direttore Generale che gestisce gli affari correnti del MES seguendo le indicazioni del Board of Directors. Il Direttore Generale presiede anche le riunioni del Board of Directors e partecipa a quelle del Board of Governors. Il Presidente della Bce e il Commissario europeo agli Affari Economici partecipano in qualità di osservatori.


A cosa serve?

Compito del MES è fornire assistenza finanziaria ai Paesi dell’area euro che attraversano (o rischiano in modo concreto di attraversare) gravi problemi finanziari. L’assistenza viene concessa solo nel caso in cui sia necessaria per salvaguardare la stabilità finanziaria dell’intera area euro e dei membri del MES stesso.
Gli strumenti a disposizione sono diversi. Si va dalla concessione di prestiti al Paese in difficoltà per consentirgli un aggiustamento macroeconomico (procedura utilizzata finora da Irlanda, Portogallo, Grecia e Cipro) fino alla concessione di prestiti finalizzati a ricapitalizzare indirettamente le banche (utilizzato finora dalla sola Spagna). Gli altri strumenti previsti (acquisti di titoli sul mercato, linee di credito precauzionali e ricapitalizzazione diretta) non sono mai stati usati finora.


Come raccoglie i fondi (dotazione ed emissione di bond)?

IL MES viene finanziato dai singoli Stati membri con una ripartizione percentuale calcolata in base alla loro importanza economica. La Germania, contribuisce per il 27,1%, seguita dalla Francia (20,3%) e dall’Italia (17,9%).
La “potenza di fuoco” massima è di 700 miliardi di euro: il finanziamento diretto da parte degli Stati ammonta a 80 miliardi di euro (l’Italia ha versato 14,3 miliardi, la Francia 20 e la Germania 27). I restanti 620 miliardi possono essere raccolti sui mercati finanziari attraverso l’emissione di bond.


Le condizioni richieste agli Stati per accedere ai finanziamenti del MES

I prestiti vengono concessi dopo che il Paese richiedente sottoscrive una lettera d’intenti negoziata fra il Paese stesso e la Commissione Europea. In genere, prevede l’attuazione di riforme specifiche che mirano a eliminare o ridurre le fragilità dell'economia del Paese richiedente. Il MES prevede interventi in tre aree:
1. Consolidamento fiscale, mediante tagli alla Spesa Pubblica e aumento delle entrate fiscali attraverso privatizzazioni o riforme fiscali;
2. Riforme strutturali, mediante l’adozione di misure di stimolo alla crescita, alla creazione di posti di lavoro e a un incremento della competitività;
3. Riforme del settore finanziario, con misure destinate a rafforzare la vigilanza bancaria o, se necessario, a ricapitalizzare le banche.
Le procedure per la concessione del credito nell’ipotetico caso di richiesta da parte dell’Italia.
La prima linea di credito chiamata PCCL (Precautionary Conditioned Credit Line) è accessibile solo ai Paesi dell’Area Euro aventi una situazione economico-finanziaria solida che soddisfi alcuni requisiti tra i quali i più noti sono: avere un rapporto debito/PIL inferiore al 60%, rispettare il patto di stabilità e crescita e assoggettarsi ad eventuali procedure per il disavanzo eccessivo.
La seconda linea di credito, l’ECCL (Enhanced Conditions Credit Line) è accessibile a tutti i Paesi dell’Area Euro. Il Paese richiedente sarà obbligato ad adottare misure correttive che tendano a portarlo a rispettare quei parametri attualmente non rispettati.
Attualmente i Paesi che hanno un rapporto debito/PIL superiore al 60% sono: Grecia, Italia, Portogallo, Belgio, Cipro, Francia, Spagna, Austria, Slovenia e Irlanda.


Il MES e la perdita di sovranità nelle politiche economiche e sulla ristrutturazione del debito pubblico

L’Italia e tutti gli altri Paesi che possono accedere soltanto all’ECCL, si troverebbero di fronte alla concessione di un credito subordinata ad una negoziazione esterna della ristrutturazione del proprio debito.
Il MES è stato in parte riformato nel giugno 2019, ma tali modifiche non incidono sulle considerazioni che mi accingo a fare.ii


Conclusioni

Sgomberato il campo da eventuali ambiguità sul MES, vengo al mio discorso che necessita di un inquadramento sistematico in premessa.
Personalmente parto dalla convinzione che in un mercato ormai globale sia necessaria una Governance pubblica altrettanto globale che funga da contraltare. Ciò al fine di bilanciare la spinta di logiche globali di per sé esclusivamente volte alla massimizzazione del profitto, che non tengono in alcun conto altri valori umani e biologici posti a fondamento stesso della Vita, non solo umana.
Soltanto un operatore pubblico globale altrettanto esteso in termini di potenza e d’influenza potrebbe, nel medio e lungo periodo, essere in grado di istituire e far rispettare norme a tutela dell’ambiente, delle persone e di interi ecosistemi forzosamente interagenti anche a causa del mercato globale stesso. Qualsiasi Stato nazionale o confederazione di Stati nazionali che continuino a muoversi, di fatto,
isolatamente, non potrà garantire questo ombrello protettivo agli esseri viventi del mondo.
In questo solco si colloca il mio discorso. Un discorso fatto da europeista convinto. Ritengo che la validità dell’Unione Europea in un mondo globale risieda proprio nel dimostrare di saper far fronte comune a comuni avversità che colpiscono ognuno degli Stati membri e che nessuno di essi da solo riuscirebbe, altrettanto efficacemente, ad affrontare.
Ora si dà il caso che ci sia capitata addosso una pandemia che, sebbene non sia annoverabile fra le avversità tipiche di un mercato globale, ha per alcuni versi, esattamente le stesse conseguenze di queste ultime. Infatti da un punto di vista economico le conseguenze saranno troppo nefaste perché qualsiasi singolo Stato possa efficacemente farvi fonte da un lato, e dall’altro perché tale accadimento rappresenta quello che in macroeconomia si definisce uno shock simmetrico. Shock perché colpisce improvvisamente, simmetrico perché lo fa simultaneamente in tutte le economie.
Per rispondere nel migliore dei modi a un evento che colpisce la totalità degli Stati dell’Unione penso sia evidente tutta l’inadeguatezza del MES date le finalità con cui è stato concepito. Infatti è stato istituito per “aiutare” un solo Stato che si trovi in condizioni di estrema fragilità finanziaria e, tendenzialmente, a causa di sue politiche economiche e fiscali deteriori. 
Per sciogliere la ritrosia di paesi come Germania e Olanda alla costituzione di un nuovo debito comune, occorre chiarire che nessuno Stato chiede di condividere il “vecchio e personale” Debito Pubblico. Si sta semplicemente (ma rivoluzionariamente) cercando di promuovere una visione nuova che consenta di realizzare una coesione sociale fra cittadini europei di livello ulteriore, che valga, nel contempo, soltanto per il Debito “nuovo” emesso per superare l’emergenza Covid-19.
Si tratta di cogliere un’occasione unica per infrangere un muro di mancata collaborazione fra Stati Membri, che è ormai la principale causa della stagnazione, non solo economica, né solo interna, dell’Unione Europea. Si tratta, peraltro, di un problema di tale entità che se non affrontato così,
giungerà a far mettere in dubbio l’opportunità stessa dell’esistenza dell’UE.
Scegliere di emettere “Nuovi titoli di debito comune europeo” significherebbe gettare le basi per la realizzazione di un “Piano Marshall” fatto da noi europei per noi europei, finalmente e per la prima volta nella Storia. Ci servirebbe per ridisegnare democraticamente i confini ideali dello sviluppo di una Europa nuova, più unita e davvero solidale. Un’Europa così potrebbe divenire realmente la culla delle speranze delle generazioni future. Perché accontentarsi del ruolo di contabile censore degli equilibri dei bilanci dei singoli Stati?
Tutte le azioni volte a rendere edotti i cittadini europei, soprattutto quelli appartenenti agli Stati
meno disponibili ad attuare un tale meccanismo di solidarietà, pertanto, sono auspicabili, in questi
giorni. Come ad esempio le interviste rilasciate dal nostro impegnatissimo Presidente del Consiglio
e appoggiate dai Presidenti del Consiglio di altri Stati europei che si schierano a favore di questa
eventualità.
Siamo a un bivio. Come umanità, come Unione Europea e come singoli Stati. Comunque agiremo ci saranno conseguenze. Come Unione Europea o avremo il coraggio di unirci maggiormente, per continuare a esistere attuando uno scatto di qualità nell’integrazione, o periremo.
L’UE è obbligata, giocoforza, a superare le limitate e antiquate logiche contabili-nazionalistiche, e a rivolgersi finalmente a tutti i suoi cittadini, a prescindere dallo Stato d’appartenenza e dal filtro politico nazionale dal quale ad oggi, quel cittadino percepisce il suo rapporto con lei. 
O l’Unione Europea si dimostrerà in grado di fare questo salto oppure, mio malgrado, prevedo che si sfalderà. E’ in gioco l’adeguatezza dei questa Istituzione pubblica rispetto al momento storico e al suo senso nel futuro. In questi termini è posto l’appuntamento con la Storia, cui si riferisce il Presidente del Consiglio italiano.
Personalmente, le mie speranze sono per una soluzione evolutiva dell’UE. Sono e resto un europeista convinto. Il programma Erasmus è stato una parte importante e indimenticabile della mia vita. Perché in un mondo divenuto un unico mercato globale o il settore Pubblico lavora unito, oppure diviene parassita della nazione cui appartiene, non suo difensore. In quest’ottica diviene ancor più evidente che nessuna azione attuata da un singolo Stato può valere alcunché. 
Concludo affrontando un argomento caro ai "rigoristi": “I mercati ci guardano”. Certo. Ma quest’affermazione, verissima peraltro, non vale soltanto quando si devono avere "i conti in ordine", ma vale altrettanto quando c'è una crisi sistemica, talmente vasta da minacciare di piegare interi sistemi-paese fra i più ricchi al mondo.
Vale tanto più se i mercati in questione colgono il fatto che i vari Stati dell’UE faticano a rispondere coesi a emergenze di cotanta portata.
Il messaggio implicito sarebbe che ogni Stato membro, di fatto, in siffatte situazioni viene lasciato solo nella tempesta. Perciò se non adotteremo un meccanismo di solidarietà europeo davvero efficace i famigerati mercati prenderanno nota e ringrazieranno, preparandosi a scommettere sul fallimento di alcuni Stati Membri alla prossima occasione.
Così, se anche miracolosamente riuscissimo ad uscire dalla depressione economica post Covid-19, non appena ci sarà occasione, quegli stessi mercati si prepareranno a sferrare il loro attacco, memori della scarsa solidarietà di cui abbiamo dato ampia dimostrazione. 
Infine, mi chiedo, che senso avrebbe continuare a sottostare a una serie di limitazioni alla sovranità nazionale come la rinuncia alla sovranità monetaria, la devoluzione di ingenti risorse all'Unione, se quando, incolpevolmente, ci troviamo in una crisi senza precedenti ci vengono date risposte come "I Covitbond sono uno slogan" dalla Presidente della Commissione Europea (risposta poi ritirata, ma alla data di stesura del testo ancora in campo).
Mi viene dal cuore una risposta: “No cara Presidente, mi rattrista constatarlo, ma in questo caso è l'UE che si dimostra soltanto uno slogan!”
Spero si dimostri con i fatti che si sia trattato di parole pronunciate in un impeto di tensione su cui cadrà un opportuno velo d’oblio. 
In chiusura desidero commentare un breve filmato apparso in rete nel quale il Dr Cottarelli difende l’operato della BCE contrapponendolo esclusivamente allo scenario alternativo di un’eventuale uscita dall’Euro.
Credo sia ora di abbandonare questa vecchia e angusta logica del “O dentro a queste condizioni, o fuori”. Certo che è meglio avere qualcuno che garantisca di acquistare i titoli di debito che emettiamo mediante il Quantative Easing e l'ancor più nuovo PEPP.
Ciò non toglie che occorre cercare di superare questa logica esclusivamente bipolare. Dobbiamo cogliere l’occasione per andare oltre le visioni nazionalistiche dei vari Stati, ora allineati dalla Storia, di fronte a un nemico comune. Tanto comune come mai prima nella Storia d’Europa dacché esistono i Mercati finanziari, non si dimentichi.
Si potrebbe cominciare con l’emissione di eurobond a tema. Pensati per condividere solo debito nuovo, contratto in settori predeterminati, come la sanità e per il rilancio delle attività economiche considerate strategiche a livello europeo, per il contrasto alla disoccupazione post Covid-19. Tutti emessi sulla base di accordi comuni sottoscritti da tutti i Paesi Membri.
Avere strumenti di finanziamento condivisi adatti per uscire dalla terribile crisi in cui stiamo per entrare e dimostrarlo ai “Mercati”, ci consentirebbe di tracciare una nuova linea ideale di sviluppo comune fondata su un progetto europeo collaborativo prima che competitivo. In questo senso mancare questo appuntamento significherebbe mancare, per l’appunto, un importantissimo appuntamento con la Storia.
Ostinarsi a ricorrere esclusivamente a programmi di acquisto dei debiti dei singoli Stati, siano essi interventi della BCE o attivazioni del MES, significherebbe reiterare un sistema di isolamento che finora non siamo stati in grado di superare e che risulta ormai più divisivo che inclusivo e, in quanto tale, uno dei principali responsabili della perdita di competitività dell’UE a livello globale. 
Si tratta di gettare le premesse per realizzare un novello “Piano Marshall” per superare uniti, in una sola mossa, la crisi da Covid-19 e la stagnazione che ormai da anni affligge la vecchia Unione Europea.
I conti miopi improntati al rigore vanno abbandonati in tempi di crisi. Occorrono progetti di ampio respiro di matrice keynesiana in grado di immagininare un'evoluzione della società umana che tenga conto del crescente livello di interdipendenza globale e perciò della necessità di istituzioni sovranazionali realmente forti ed estese nei poteri, in grado di tutelarci come cittadini, prima europei e poi del mondo.
Spero che prevalga il buonsenso. Si dice che nella vita il come si reagisca a ciò che accade conti altrettanto rispetto al ciò che accade.
Questo snodo è storico per gli esseri umani. Di respiro ulteriore rispetto all’idea (grande per il suo tempo) della fondazione degli stessi Stati nazionali.
Certo, emettere titoli di debito pubblico comune europeo limitato ad alcuni settori dell’economia ora sembra un piccolo passo. Ma è fondamentale farlo perché va nella direzione giusta.
Infine, mi piace ricordare le parole di un grande pacifista, Ghandi: “Tutti i grandi cammini cominciano da un primo passo”.
Vogliamo scommettere che sarà l’occasione per rifondare una società più vicina ai globali uomini contemporanei?
Io lo spero davvero!

i   Definizioni tratta da Wikipedia
ii Informazioni tratte da: “Il Sole 24 ore – edizione online del 29 novembre 2019 https://www.ilsole24ore.com/art/mes-cos-e-e-come-funziona-fondo-salva-stati-ACGaaC2?refresh_ce=1.

Perché la lettera di Michele non suona così sbagliata!?

#attualità

Milano, 9 febbraio 2017


Qualche giorno fa Michele, un trentenne italiano si è tolto la vita ed ha lasciato una lettera che i genitori hanno scelto di pubblicare.
Leggendola mi è venuta voglia di fare alcune considerazioni sul perché non suona così sbagliata.

Perché, al di là del gesto di debolezza (la penso come Schopenhauer in proposito ) è un j'accuse a tutto lo stile di vita moderno e imperante. 
Perché mette in luce che noi esseri umani siamo naturalmente più inclini a desiderare avere che essere.
Non siamo nemmeno più in grado di essere, né di sognare con senso di realtà di poter nel futuro essere. 
Un sistema di valori mainstream svilisce i nostri tentativi di farlo; condannandoci ad una "resistenza di valori" alla quale, come sempre peraltro accade a qualsiasi tentativo di resistenza sul nascere, non viene riconosciuta alcuna dignità, nemmeno e soprattutto quella concessa a chi piega la testa e, svuotato di sogni, si allinea.Perché, al di là del gesto di debolezza (la penso come Schopenhauer in proposito ) è un j'accuse a tutto lo stile di vita moderno e imperante.
Perché mette in luce che noi esseri umani siamo naturalmente più inclini a desiderare avere che essere.
Non siamo nemmeno più in grado di essere, né di sognare con senso di realtà di poter nel futuro essere.
Un sistema di valori mainstream svilisce i nostri tentativi di farlo; condannandoci ad una "resistenza di valori" alla quale, come sempre peraltro accade a qualsiasi tentativo di resistenza syl nascere, non viene riconosciuta alcuna dignità, nemmeno e soprattutto quella concessa a chi piega la testa e, svuotato di sogni, si allinea.