Riflessione sull’inadeguatezza del sistema liberista

#antropologia, #economia, #etica, #organizzazionesociale, #sostenibilità

 

L’Havana, Cuba, dicembre 2001


Cuba è un luogo dove esiste e resiste uno dei pochi esperimenti sociali alternativi in termini di valori antropologici rispetto all’Occidente altrettanto rispondenti alle esigenze umane. Ad esempio, valori come cultura e sanità vengono garantiti a tutta la popolazione, mentre in paesi che hanno adottato modelli di liberismo spinto alcuni cittadini ne vengono privati. Inoltre anche riguardo alle possibilità d’espressione e di ricerca di senso rispetto alla propria esistenza, i cittadini dell’isola, hanno modo di seguire tracciati meno preordinati comparati a quelli offerti da paesi orientati all’ipercompetitività e all’iperproduttività. Infatti questi ultimi tendono a estremizzare modelli sociali “vincenti”. Inoltre non si curano di limitare l’uso sconsiderato delle risorse al fine di produrre, produrre e produrre in modo “libero” o “liberista” che dir si voglia. Tale atteggiamento sebbene dia l’impressione di essere nel giusto, in quanto ci si sente “liberi” di produrre, in certi casi equivale a commettere un delitto contro la terra, contro tutte le persone che la abitano e contro gli altri esseri viventi. Dovremmo, se così si può dire, adottare una visione più francescana del creato, istituire nuovi diritti sociali e naturali, da estendere a tutela degli altri esseri viventi non umani e più indifesi. Tutelare loro significa tutelare la biodiversità, e nel lungo periodo, significa tutelare anche noi.

I comportamenti improntati al liberismo e al consumismo spinto, data la limitatezza delle risorse e la continua crescita del numero di esseri umani, stanno strangolando l’ecosistema. Esso, a prescindere da ciò che dicono le nostre “vecchie leggi occidentali”, è patrimonio di tutti, e non soltanto di chi per primo se n’è appropriato impiantando bandiere e, da quel momento in poi, consumando le risorse di quel territorio, trincerandosi dietro una presunta legittimità autoreferenziale, nel nome del liberismo più spinto.



L'esercizio della fantasia

#felicitàsoddisfazioneindividuale, #felicitàsoddisfazionesociale

 

Milano, 28 agosto 2003



L’esercizio della fantasia è la forma di libertà democratica reale più elevata: nonostante si sia liberi di esercitarla tutti insieme contemporaneamente consente ad ognuno di ottenere i risultati che più gli piacciono.

Cose Preziose

Milano, 15 agosto 2010



I

Esiste un posticino al limitare del lungomare di V. dove, su un crinale, sorge una vecchia casupola fatta con assi di legno. La casupola, costruita su un unico piano, è piuttosto malandata ma a suo tempo è stata costruita con cura. Si evince dalla fattura dei telai delle finestre, ormai vecchi ma non decrepiti e dal camino di preziosa fattura da cui un ricciolo di fumo spesso fuoriesce.
Sopra all’ingresso c’è un’insegna piuttosto sgangherata che dice “Cose prez.ose”. Il cartello è crepato all’altezza di quella che dovrebbe essere la “i”. Probabilmente anch’esso è molto vecchio.
Sul lato posteriore della costruzione è stato ricavato un piccolo orto e una staia per le galline. Dopo queste due ultime opere umane il paese termina e comincia una spiaggia libera sovrastata da una collina coperta da un bosco fitto e intricato.

In un’altra casa nel quartiere residenziale di V., Lucia si è appena alzata e sta facendo colazione. Ha appena superato la quarantina e vive sola. Porta in viso i primi regali che il tempo inevitabilmente ci dona. Il suo volto, tuttavia, sprigiona una grande bellezza specchio più dei sentimenti che mostra di essere in grado di provare, piuttosto che dalle fattezze.
Ogni tanto le capita di tornare ancora con la mente alla sua storia con Luca. L’ultima per lei. Lo aveva conosciuto all’età di vent’anni.

Era una mattinata di sole quando Lucia fatta colazione indugiando su un romanzo d’amore si mise lo zaino in spalla e andò a prendere la bicicletta in garage per correre alla biblioteca del paese dove avrebbe dovuto incontrarsi con la sua amica. Giunta alla biblioteca e chiusa la bicicletta, notò che mancava ancora quella di Claudia, la sua amica. – Probabilmente se l’è presa comoda – pensò. - Intanto entro e prendo i posti, altrimenti non troviamo più nulla –
Lucia studiava psicologia. Era circa a metà del percorso di studi. Entrò con il suo zaino pesante, ci teneva tutti i libri che potevano servirle, a costo di farsi venire dei gran mal di schiena, vide un tavolo sul fondo vicino alle vetrate e ci si fiondò. Mentre si avvicinava notò un ragazzo che stava studiando da solo a un tavolo non lontano dal suo. Si scambiarono uno sguardo e lei subito lo distolse. Quando si sedette al tavolo, constatò fra sé che era carino.
Claudia quella mattina non venne. Ma a Lucia non dispiacque particolarmente. Quando era stufa di studiare e voleva fare una piccola pausa alzava lo sguardo e, senza farlo apposta, gli finiva sempre sul ragazzo del tavolo vicino a lei. Dopo un paio d’ore, durante le quali lo sconosciuto si era alzato spesso ed era uscito nel giardino per poi rientrare, mentre lei non era andata nemmeno una volta in bagno, decise di alzarsi e di andare a prendersi qualcosa al bar. Si avvicinò al banco vuoto del ragazzo e sbirciò il testo su cui stava studiando: era pieno di formule matematiche di cui lei non capiva nulla. Proseguì verso il bar. Quando rientrò, dopo una ventina di minuti, il tavolo del giovane era vuoto. Ne rimase delusa, ma continuò a studiare come era solita fare.
Dopo quella volta in cui i due si notarono, Lucia quando entrava in biblioteca lo cercava. Senza dire nulla si metteva ad un tavolo mai troppo vicino, ma nemmeno tanto lontano da non poterlo vedere. Ebbe l’impressione che anche lui faceva lo stesso. Durante quelle lunghe giornate i loro rapporti non andarono oltre l’osservarsi di sottecchi. Le cose andarono così per almeno un paio di settimane. Lui la osservava ma non osava parlarle. Lei desiderava conoscerlo, ma voleva che lui si esponesse maggiormente prima di incoraggiarlo. Temeva che quella indecisione fosse un segno del fatto che non gli piacesse in fondo così tanto.
Poi arrivò la primavera. Quella mattina la biblioteca era immersa nel verde, nel profumo dei fiori sbocciati e nella luce bianca del sole. Non accadde nulla di specifico, semplicemente i loro atteggiamenti mutarono. Era uno di quei giorni in cui Lucia si sentiva in armonia con il mondo senza una ragione apparente. Si era alzata presto e dopo aver sbrigato di buon grado le poche faccende di routine che la sua vita da studentessa in famiglia le imponeva e si era recata a studiare sentendosi felice e libera.

Il ragazzo, che si chiamava Luca, si era svegliato un po’ più tardi, aveva constatato la bellezza della giornata e aveva deciso di recarsi in biblioteca a piedi.
Ancor prima di entrare, cercò nel parcheggio delle bici quella che sapeva essere di Lucia e trovandola, col cuore in gola entrò cercandola con lo sguardo. Stavolta quando la vide anche lo sguardo di lei contemporaneamente incontrò il suo, ma lei gli regalò un dolcissimo sorriso. Luca con una naturalezza che non si sarebbe mai aspettato, allora la salutò. Lei, altrettanto naturalmente contraccambiò.

Tanto bastò.


I due in breve fecero amicizia e si fidanzarono. Luca studiava ingegneria e aveva due anni più di Lucia ed era prossimo alla laurea.

Fu un amore che decollò alla velocità della luce. Andavano d’accordo su tutto. C’era un’armonia fra loro che andava realizzata dall’unione di due spiriti che vedono e vivono la vita similmente corroborata da una grande e reciproca attrazione fisica.
Dove non c’era unitarietà di vedute, discutevano amabilmente per poi ritrovarsi ancor più uniti. Lei aveva delle premure tutte femminili a cui lui non avrebbe mai pensato e lui ne aveva altre per lei che la rendevano sicura di essere amata e protetta.
La cosa procedette così per molti e molti mesi. Poi Luca terminò i suoi studi e trovò un’occupazione che lo strappò a quel dolce paesino per portarlo all’estero. I due furono così costretti a separarsi per dei periodi piuttosto lunghi. Nei primi mesi le lettere di lui trasmettevano tutta la sua sofferenza per quello stato ed erano assidue. Lei da parte sua le leggeva e le rileggeva, facendosi coraggio nei momenti di debolezza, quando la stretta routine di un paese come V. la avvinghiava, quasi soffocandola. Da quando era sola, la curiosità ipocrita e meschina che si genera fra compaesani invidiosi si faceva spesso sentire. Era come se il resto del mondo premesse all’esterno del suo rimpicciolendo sempre più i suoi spazi di libertà fatti di azioni, atteggiamenti e punti di vista.
In più, col passare dei mesi, purtroppo invece che tornare sempre più spesso al paese, Luca tornava sempre meno e si trovava impegnato per giunta in progetti lavorativi sempre più grandiosi che assorbivano la gran parte delle sue energie e risorse fisiche e mentali. Questo fece sì che anche la loro corrispondenza ne risentì.
Finché in un giorno di primavera, giunse una lettera che annunciava l’arrivo di Luca entro un paio di giorni.
Lucia era felicissima. Non vedeva l’ora di riabbracciarlo. Era molto speranzosa, ma nello stesso tempo si sentiva in apprensione. Il mattino del giorno prestabilito arrivò. Lei non aveva chiuso occhio per tutta la notte. Si era immaginata mille e mille modi in cui l’incontro sarebbe andato e tutte le possibili battute di lei e di lui. Pensava, inoltre - Chissà che belle donne che vede quando viaggia. Devo assolutamente essere alla loro altezza e fargliele scordare. - Sentiva che quell’incontro doveva essere in qualche modo decisivo. Avrebbero dovuto decidere cosa sarebbe stato della loro storia.

Il giorno giunse e di buon mattino un uomo vestito molto elegantemente entrò nel paese con una bella auto. La parcheggiò di fronte alla casa di Lucia. Ne scese e tenendo in una mano dei fiori ed in un’altra una curiosa scatoletta in legno bussò all’uscio della famiglia di Lucia.
Lei che si trovava a gettare sguardi ansiosi dalla finestra alla sua immagine riflessa nello specchio già da un paio d’ore, prima ancora che l’ultimo colpo sulla porta cessò il suo eco, dimentica di tutti i progetti che aveva fatto su cosa dire e fare, si trovò a correre giù per le scale della villetta. Spalancò la porta gli si buttò addosso abbracciandolo. Lui da parte sua, la strinse a sé e la baciò teneramente.

Uscirono in macchina. Lei raggiante come il sole a ferragosto. Tanto da non rendersi conto che lui non lo era per un buon quarto d’ora. Ma poi, superata l’emozione ebbe modo di osservare il suo viso.. Lo fissò e Luca le disse con aria seria: “Dobbiamo parlare”. Lei, si sentì fermare il cuore. Tentò un contegno e disse: “Va bene”.
“Ti porto in un posto tranquillo.”
La macchina partì. Si fermarono sul molo. Lui spense il motore. Tolse le chiavi e se le mise in tasca. A quel punto si girò e la fissò. Lei lo osservava con aria interrogativa e quasi accusatoria nel contempo.
“Mi hanno proposto un contratto molto importante. Mi daranno uno stipendio elevato e l’usufrutto di una villetta in India con servitù. Il problema è che dovrò stare là per almeno tre anni. Vorrei che tu venissi via con me”.
Lei rimase sbigottita. Le sembrava un sogno, ma nel contempo capiva che avrebbe dovuto rinunciare ad un altro sogno: quello di diventare psicologa.
Gli chiese del tempo per riflettere e lui, glielo concesse. Però le disse che non avrebbe potuto aspettare e che quando lei fosse stata decisa e glielo avrebbe fatto sapere, lui sarebbe tornato a prenderla. Lei aspettò. Si prese il suo tempo e sentendosi ogni tanto con lui, gli parlava dei suoi progressi all’università. Lui da parte sua le raccontava le sue giornate in Oriente. Ma col tempo il rapporto perse di mordente. Lui cominciò a frequentare molto le persone che vivevano dove lavorava e lei si sentì sempre più esclusa.
Finché un giorno decise di scrivergli e di mettere fine a quel rapporto epistolare che occupava il cuore e la mente di due persone che si erano amate ma che avevano scelto strade troppo distanti.
Qualche settimana dopo le giunse l’ultima lettera di Luca nella quale lui si diceva triste per quella decisione ma nello stesso tempo capiva l’insostenibilità di quel rapporto. Così le inviava una sua foto come ricordo e chiedeva a lei di fare lo stesso per lui. Lucia con le lacrime agli occhi prese la sua più bella e sorridente fotografia, la mise nella scatoletta di legno che quel giorno lui le aveva regalato e spedì il tutto senza nemmeno una parola di accompagnamento. Aveva venticinque anni allora.

Stamattina, si era alzata presto e si sentiva di buonumore. Era stata nel suo studio, aveva pranzato e ora aveva deciso di fare un giretto per negozi.
Si trovava in fondo al lungomare quando, senza rendersene nemmeno conto fu attratta dalla casetta che si vedeva alla fine del sentiero che s’inerpicava sulla collina. Erano anni che era sfitta, ma ora sembrava abitata.
Senza pensarci troppo partì in quella direzione per andare a visitarla.
Giunta nei pressi vide che la casa era in ordine, il pollaio e che dal camino usciva del fumo. Strano, erano secoli che nessuno la occupava, si disse.
Si avvicinò maggiormente fino a vedere una delle vetrine del piano terreno. Non vide nulla né di particolare interesse né di veramente prezioso, come suggeriva il cartello. Sembrava piuttosto una collezione di chincaglierie buone per un rigattiere di serie B.
Ma qualcosa la spinse ad entrare. Forse il fatto che la bottega sorgesse a distanza rispetto a tutti gli altri pubblici esercizi. Forse la voglia di vedere in viso il padrone del negozio di cui, strano a dirsi nel suo paesino, nessuno ancora le aveva parlato. Di fatto prese la maniglia, la girò ed entrò. All’interno si respirava un’atmosfera ovattata, aromatizzata dall’incenso e dagli effluvi del camino. L’ambiente era ricco di mercanzie delle più disparate. C’erano arazzi, narghilè, sculture d’ebano, conchiglie, utensili in legno, vasellame, mobili e spezie. Il tutto distribuito per il locale senza un ordine apparente. C’era merce esotica e nostrana. C’erano oggetti di valore accanto ad accendini scarichi in plastica. Mazzi di carte incompleti accanto a collier e bracciali d’oro. Disegni di bambini accanto ad un abito da sposa. Foto ricordo di persone mai viste. Inoltre, mano a mano che visitava l’interno della casupole e le sue stanze, scopriva che in ognuna v’era un profumo diverso. O meglio un mix di profumi fra loro differenti. Alcuni realizzati con incensi o altro di simile, altri prodotti dalle pelli conciate o dai tessuti lavorati, ma altri ancora di provenienza inspiegabile.
Ad un tratto, mentre osservava i vari oggetti immersa nel silenzioso e avvolgente ambiente si sentì chiamare da una voce sorridente e roca che pareva venire dalla casa stessa. Si girò e vide alle sue spalle un vecchietto canuto e barbuto che inforcava degli occhialini tondi che sorridendo le porgeva la mano in segno di saluto.
“Buongiorno signorina. Posso esserle utile?” esordì sorridente e amabile il vecchietto.
“Mah! Veramente sto solo guardando”, rispose lei.
“Sa non mi ero proprio accorta del vostro negozio fino a questa mattina”.
“Bè signorina, in effetti non avrebbe potuto”.
“Avete aperto da poco?” chiese curiosa Lucia.
Ma l’anziano signore, sembrava intento a disporre alcune mercanzie su un antico tavolino lì vicino e non parve sentire. Così Lucia stessa decise di lasciar perdere. Si avvicinò alla porta e in quel mentre il vecchio le disse: “Signorina ha visto che belle scatole che abbiamo in vetrina?”
“No, ora mentre esco ci do un’occhiata. Buona giornata”.
“Arrivederci, a presto.” Rispose il negoziante.
Lucia si fermò a guardare distrattamente le vetrinette della casupola in legno, zeppe anch’esse degli oggetti più disparati. Finché, dopo un paio di vetrine senza alcuna scatola, ne vide una quasi interamente piena di scatole.
Immaginate che sussulto ebbe la donna quando fra queste scorse come ammiccante la scatola che tanto aveva significato per lei.


II

Giuseppe, detto Joseph si trovava in Polinesia. Viveva lì da ormai 2 anni. Quanto era stato difficile partire. Ma ora che si trovava lì, tutto era perfetto. Era riuscito a trovarsi un lavoretto, a farsi un gruppo di amici anche loro immigrati e per la prima volta, quella sera, contemplando il tramonto del Pacifico seduto sulla spiaggia di quell’atollo, sentiva chiaro ciò che avrebbe chiesto alla sua vita, essendo disposto a rinunciare a tutto il resto. Desiderava soltanto sentirsi libero di vedere, incontrare e scoprire cose e persone a giro per questo splendido posto che è la terra.
Conosceva bene i rischi che potevano provenire da fuori e dallo sconosciuto, ma era disposto a correrli. Per vivere, pensava tra sé, bisogna essere disposti alla morte. Altrimenti si vive già nell’agonia, inibendo i nostri desideri e passioni più vere.
Il lavoro trovato era sulla spiaggia ed era all’interno di un ristorante italiano. Doveva essere l’inizio di una nuova vita vissuta con la priorità della scoperta e del costruirsi una professionalità ben confacentesi con i viaggi.
Le sue giornate scorrevano. Era uno scorrere naturale. Si trovava per la prima volta a non pensare a progetti futuri pur lavorando. Non aveva bisogno di evadere. Era esattamente dove desiderava essere, almeno per un po’. La sensazione era quella di qualcuno che si sieda ad una tavola imbandita di portate esotiche e che ne possa godere finché ne avrà voglia, poi, una volta sazio, potrà alzarsi e farsi un giro fino a quando non gli tornerà fame e allora cercherà una nuova tavola.
C’era in quel modo di vivere un’attenzione ai bisogni presenti che era in forte contrapposizione con la preoccupazione per il futuro. Le due spinte erano in qualche modo contrarie. Il presente era il legante della sua vita lì e il futuro quello che gli sembrava scandire le giornate dei suoi concittadini in Italia. Non che non dovesse faticare, o non avesse preoccupazioni o che potesse vivere d’aria, ma la differenza sostanziale, gli pareva, era data dalle motivazioni o se volete, dagli incentivi alla vita che lo muovevano nei due contesti.
A casa propria i ritmi della sua giornata erano prevalentemente imposti da un sistema di valori che lo obbligava a destinare la maggior parte del proprio tempo al lavoro, che gli piacesse o meno, per poter ottenere quella “minima” quantità critica di cose e denaro che gli permettessero di coltivare la propria curiosità verso persone e situazioni. E il lavoro, nel concedergli quella possibilità economica, gli sottraeva nel contempo il tempo per beneficiarne, di cui non lavorando prima, invece, era ricco. Dove si trovava ora, invece, forse per la ragione stessa del luogo o del tipo di occupazione, non sentiva forte questa dicotomia, ma il ritmo lavoro/riposo sembravano fondersi armoniosamente come se si trattasse di una lunga, interminabile giornata di vacanza. Eppure, posso garantire che di fatica ne faceva.
Tutto ciò andò avanti bene ancora per quasi sei mesi, dopodiché accadde qualcosa che, Joseph non aveva mai previsto né messo in conto.
Una certa settimana, cominciò a provare dei dolorini ad una gamba. Erano dei dolori leggeri, un fastidio più che altro. Dopo qualche giorno, però, invece che cessare, si rese conto che aumentavano con la stazione eretta fino a divenire insopportabili.
Egli tenne duro per un po’. Ma giunse al punto di non riuscire più a godersi tutto il bello che gli stava attorno. Tutto quel paradiso che fino a ieri gli aveva regalato così tanta serenità lo stava ora a guardare, lasciandolo solo con il suo personale dolore.
Si rivolse a medici e specialisti orientali di vario genere e tipo ma nessuno riuscì ad aiutarlo davvero.
Fu allora che dovette ripiegare e decise di tornare in Italia. Si trattava di una pausa nel suo progetto appena scelto, o per lo meno, questo era ciò che egli più sperava.
Per lui era come se un Fato avverso, una volta che aveva avuto il coraggio e l’ardore di mettere in gioco a carte scoperte tutti i desideri della sua natura più autentici, lo avesse punito togliendogli le facoltà fisiche per seguirli. Ora che non aveva più inibizioni morali o sociali o famigliari a seguire i suoi istinti ci si metteva la salute, nemico molto più temibile.
Si sentiva, mentre saliva su quell’aereo beffato, derubato dei suoi sogni non ancora divenuti realtà. Sentiva di avere incontrato la sua vocazione da poco e il suo fisico lo tradiva. Che triste destino. Non si trattava di non poter fare una cosa che gli piaceva. Si trattava di togliergli le uniche passioni definibili tali, che mai avesse avuto. E che da solo poco aveva avuto la forza di seguire in barba a tutti i consigli del caso. Ovviamente nessuno di questi consigli l’aveva mai messo in guardia da nulla di simile. Ma come si sa, la fantasia del Destino supera di gran lunga quella dei piccoli uomini.
Erano ormai due anni che era tornato e da allora ancora non stava bene. Quel giorno si decise a fare una passeggiata sul lungomare visto che il sole glielo consentiva.
Aveva imparato a viaggiare anche restando nel suo paese. Riusciva a perdersi per intere mezz’ore osservando il viavai dei frettolosi abitanti di V. sul lungomare. Poi si alzava dal caffè in cui era e si dirigeva là. Alla spiaggia: unico luogo di vero contatto nel suo peregrinare per il mondo. E lì, di fronte allo spettacolo del mare, del doppio cielo blu che si riflette in sé stesso, dove il rumore delle onde cullava i suoi pensieri addormentandoli, senza che nemmeno se ne accorgesse, lì si sentiva in armonia con la natura. Forse era proprio il fatto che il mare per lui era più un collegamento fra mondi che un confine. Anzi era il Mare stesso un solo unico mondo che metteva in contatto tutti gli altri.
Poi, di solito, prendeva il suo giubbotto su cui si era seduto e, senza fretta s’incamminava fino al limitare del paese, dove la natura cominciava a rifarsi viva.
Quel giorno, anche egli vide quella casupola. Strano si chiese a sua volta che non la avesse mai vista prima. Strano anche che fosse un negozio in un luogo così discosto dagli altri. Così, attratto quasi dall’atipicità e della locazione della casa rispetto al fatto che fosse un esercizio commerciale, decise di recarvicisi.
La casa/negozio era sempre ricolma di oggetti e di profumi e Joseph non appena entrato ne fu sopraffatto positivamente. Ebbe la sensazione di essere entrato in uno dei suoi mondi di viaggio. In effetti c’erano mercanzie delle più disparate e, nemmeno lui, aveva mai visto nulla di simile nel corso del suo girovagare o far vacanze.
Ad un tratto la sua attenzione fu attratta da una collanina in corallo. Era incredibile. Quella era la sua collana di 3 anni or sono. Ne era sicuro. Gli era stata data dal gestore del ristorante alla fine del primo mese di lavoro come regalo personale e come viatico per quella nuova vita che si accingeva a intraprendere. Ma come era possibile?


III

(continua..)

L'anima

#humor, #inunarigaopocopiù, #religione

 

Milano, 6 aprile 2008



Se l’anima può vivere anche senza il corpo, chi mi dice che la mia non mi abbia già mollato?

Il senso della vita

#religione, #sensovita

 

Milano, 26 settembre 2007



Se la vita ha un senso, sto procedendo contromano.