Buon #25aprile

 

#comportamento, #globalizzazione, #organizzazionesociale, #politica

 

Mediglia, 25 aprile 2022


Durante le guerre quasi tutti (i cittadini) vogliono la pace. Le differenze cominciano a delinearsi quando si passa ad analizzare il modo in cui ottenerla. Esistono potenzialmente infinite soluzioni di pace. Si va dall’annientamento integrale di una delle due parti, che determina anch’esso un tipo di pace, a quello della parte avversa, che porta anch’esso a un tipo di pace, evidentemente diverso dal primo, fino a giungere all’annientamento di entrambi i contendenti, che porta a un tipo di pace ancora differente. In generale, le paci, si distribuiscono su gradazioni intermedie fra queste, che prevedono quote di annientamento dei due contendenti più o meno complete.

Dunque la domanda di senso, quando si è di fronte a un conflitto non può essere se si vuole la pace, ma per che tipo di pace si propende. Tale posizione implica di per sé già una qualche dose di compromesso realistico. Infatti la pace, qualsiasi pace, si fonda su compromessi. Compromessi condivisi e rispettati fra le diverse libertà, fra i diritti e i doveri reciproci. Questo punto è molto importante. Tanto che, a ben vedere, è proprio quando si mal sopportano tali allocazioni (o quando sono palesemente inique) che si preparano i terreni dei futuri conflitti. Tale effetto si è dimostrato valido per i conflitti passati e promette di esserlo anche per quelli presenti e futuri. Di qui l’importanza di avere ben chiare queste implicazioni tutte le volte che ci chiede: “Che tipo di pace desidero?”

La guerra, una volta cominciata, la vince colui il quale ottiene la pace che desidera. Chi perde, invece, qualora non venga eliminato completamente, è costretto ad accettare la pace imposta dalla controparte.

Prioritario, affinché la futura pace sia duratura, resta come scrivevo, il fatto che sia giusta. Dunque è cruciale definire quando una pace può dirsi realmente giusta per i sopravvissuti. Purtroppo (o per fortuna) non dispongo di una risposta che valga erga omnes, esaustiva e bell’e pronta. Tuttavia vorrei continuare a esporre alcune considerazioni che ritengo abbiano a che fare con il tema.

Ritengo che qualunque pace giusta non possa legittimare l’aggressione e la conquista armata attuata da un paese nei confronti di un altro, libero e sovrano. Altrimenti passerebbe il messaggio per cui la comunità mondiale (preferisco questo termine a quello che percepisco come più elitario di comunità internazionale) avallerebbe tale modus operandi che altro non è se non l’attuazione della ferina, primitiva e barbara “legge” del più forte. Legge che legge umana positiva non è, ma di legge di natura, al più.

Oltre al tipo di pace che si desidera ottenere, esito finale di una guerra, poi tocca anche valutare e decidere che tipo d’impegno profondere nel corso di una guerra, tenuto conto che non sempre le guerre si possono vincere. Per prendere questa decisione va tenuto presente che oltre all’esito finale di una guerra, assume grande rilievo il costo sopportato per vincerla dal più forte. Dunque, anche qualora non si riuscisse a vincere una guerra si potrebbe renderla estremamente costosa e sconveniente per l’aggressore. In tal modo gli si farebbe pagare talmente cara la “pace” che poi imporrà, da disincentivarlo a ritentare l’operazione in futuro. Se si propende per tale posizione di resistenza, questa va alimentata e difesa finché se ne ha la forza. Infatti ogni singolo sforzo profuso in tal senso rende meno appetibile il guerreggiare come modus operandi, sia nel presente che nel futuro, sia in quella guerra che in generale. Al contrario, ogni ripiegamento lo incentiva. Questo è il senso della resistenza nel presente che dà esempio di sé per il futuro.

Se ci pensiamo constatiamo che funziona allo stesso modo anche nella logica individuale: chiunque quando valuta se può o meno permettersi di avere qualcosa, lo fa in base al prezzo che deve pagare per ottenerla. Anche per questa ragione, oltre che per una ragione di compassione umana per gli aggrediti, che do per scontata, ha senso resistere. Resistere alza la posta in gioco per l’usurpatore rendendo la guerra un cattivo affare, anche per il futuro. Se tale resistenza viene coadiuvata dalla comunità mondiale può giungere a stigmatizzare quel modus operandi fino a renderlo de facto inattuabile, diseconomico e perciò inattuale, secondo il pensiero dell’umanità contemporanea mondiale tutta.

Per tutto quanto esposto, personalmente ritengo, giusto fornire a un paese aggredito militarmente senza ragione da un altro sul suo territorio sovrano, tutto il supporto militare difensivo possibile, incluso quello più avanzato tecnologicamente, da parte delle altre nazioni.

Non ritengo invece giusto che le altre nazioni gli forniscano mezzi militari in grado di portare attacchi sul territorio dell’aggressore, che resta altrettanto sovrano nel suo territorio, nonostante la condotta attuata. Ciò in quanto non credo che si possa combattere (in primis concettualmente) un’aggressione territoriale fornendo all’aggredito le possibilità di attuarne un’altra di segno opposto.

Tuttavia ritengo anche che il paese aggredito, a livello individuale e nei limiti delle proprie risorse personali, abbia pieno diritto a contrattaccare, anche sul territorio dell’aggressore.

La comunità mondiale, invece, dovrebbe sempre, a mio avviso, avere sia il diritto che il dovere civile, finché il paese aggredito non decida di arrendersi a suo insindacabile giudizio, beninteso, di fornirgli tutta l’assistenza possibile. Sia essa umanitaria, alimentare, sanitaria e militare; quest’ultima purché limitata alla sola difesa, ribadisco. Il tutto per riaffermare il diritto universale, se non ad avere una pace giusta, almeno a favorire una condotta internazionale giusta, anche nell’affrontare un frangente che di giusto ha ben poco.

Buon 25 aprile 2022!

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